martedì 27 dicembre 2011

Via Veterani

La Poesia

Nella via dove non picchia il sole,
e i piani inferiori appiccano luci
al primo albeggiare, un tempo v’era
                                         splendore.
Scrosciavano le visite dei poetanti.

A seguito d’ombre e ippocastani
un pazzo scatarrava fino a spengersi:
‘Non esiste più la Moralità.’
Dall’inferriate di quella strada senza
                                             fiamma.

Ora il palazzo è una tomba. E da vaghe
fessure non passa che la banderuola
d’un lanciere. Su ogni cosa fa buio.

E non c’è più morale! Nemmeno una vestigia
di quanto stenti la poesia,
da quando è morto pure Oliva.

Volponi

Quando un pullman con griglia
e cofano bluastri, mi traghetta
a Roma, varco monti incatenati
nei fondi tra la martora e la folaga.

‘Sei alle porte dell’Appennino,
il marchio tatuato su ogni fiore.
Da lì passerai per mezzo d’un siero
di fata, al governo stentato e antico

alla politica pragmatica dell’Impero.’
Il trabiccolo sbanda. La visione sfuma
sul terrapieno, la strada zigzagante
                                         e spoglia

s’indora di contingenze poetiche.
Poi dice: ‘Impara a guardare la luce.
Dal passo di chi tace si conosce
                                   la veglia.’

sabato 24 dicembre 2011

Leçon de géographie

Fuggivamo per la via Flaminia,
nel buio accecante della sera
che non dava barlumi.
Maestro, non sappiamo dove vai.
E i disturbi del divino
rimettevano al mondo,
fino ad estinguersi
alla Bocca Trabaria,
lingua forcuta e rubor.

Come possiamo conoscere la via?
Una musica giunta ad ombra
di sentiero riavvolse il timpano.
Io sono la via.
La strada era indorata,
color avena.
La verità, la vita.

La stagione in attesa
donerà un accenno d’esistenza illesa.

martedì 20 dicembre 2011

'Tutti' di Umberto Fiori

Cercavo il muro, nel muro che a una svolta
si illuminava.

Ascoltavo - lontano, dietro i pensieri -
la voce della mia voce.

Speravo, un giorno, di vedere quello
che vedono sempre tutti.


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Da Poesia presente, a cura di F. Napoli, Raffaelli, Rimini.

domenica 18 dicembre 2011

'La casa dei doganieri' di E. Montale


Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.

Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.

Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo ancora un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.

Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende…)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.

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E. Montale, Tutte le poesie, a cura di Giorgio Zampa, Mondadori, Milano, 1990.

domenica 11 dicembre 2011

Ici (juillet 2010)


C’est pas facile

Sull’uscio di casa fa un po’ freddo,
piove, e la notte in Vallonia non aiuta.
Ridiamo, intanto, i muscoli tirati.
E chissà se ti rivedremo. Tu affondi
nelle braccia della zia.
Le lacrime. L’acqua scroscia forte
dalle fontane, là dietro, e il sorriso
imbarazzato ci bada un po’
a spegnersi.
E chissà se ti rivedremo.
Parrain ti consola, serio, prima
di scendere (Mathieu dorme già, Pierre
l’ha messo in macchina). Porti il tuo
male giù per le scale, sotto la pelle
con discrezione, e sei
di nuovo sulla strada.
Ci saluti con la mano, davanti a tutti
e sorridi, come una bimba alla sera
quando si va via.
Come se la morte fosse un gioco.

L’automobile è già partita
nel buio. Noi rientriamo in preda ai brividi.
Sull’uscio di casa fa un po’ freddo,
piove, e la notte in Vallonia non aiuta. 


Silenrieux

Frugano tra gli alberi soffi d’urne vuote
echi sommersi da strati di foglie
calcate sui sentieri. L’acqua scorre piano
a Silenrieux.

Per quelle vie umide, forse
una mano passava, e i tronchi alti
– li guardavi? – scandiva uno ad uno.
Covava la terra un male sperduto.

Nella lugubre estate di queste villette
un faggio violaceo macchia la riva
senza riflesso di stagni raffermi.

Mosche in delirio su sprazzi di luce –
nella radura trappole d’uccello
simili a tombe fra l’erba levate
disfanno il sentiero, e il bosco rimane.

C’è in questi luoghi un sapore recente
di cenere bigia dispersa nel sole
un velo mortale che filtra le ore.

Frugano tra gli alberi soffi d’urne vuote
nidi voraci che la città schiude
dal ventre di carbone. Il corvo è già passato
a Silenrieux. 


Mémoires d’un ivrogne

(Langue inconnue)

Verts les papiers
Des feuilles si belles
Banales et anciennes
Qui vont me noyer

Leur voix qui se baigne
Accepte son rôle

(Récit incertain)

Je vis d’une douleur
La seule dans milles règnes
Je vis des paroles
Qui saignent, qui saignent

Riant dans la veille                           
Je doute des Ailleurs

(Aube)

Vidée la bouteille
Avant la douceur



Il giorno della sepoltura

La ruspa scava nell’ossario
tra lapidi divelte, accatastate
c’è chi muore due volte.

Spente sulla pietra stanno le incisioni,
nomi e destini resi illeggibili, spariti dal tempo
coi loro portali. Torreggia il cipresso,
le alte radici spaccano i marmi.

Il cimitero è un cantiere
di enormi spazi vuoti
dove tutto finisce.

Lisce, annerite lungo la cinta
del crematorio, precarie, minute cripte
di bimbi ottocenteschi, disertate dai cadaveri
sgretolano. 


Regrets

Ho amato una baccante
nuda, plasmata tra la seta e il marmo –
la corona di vite cadeva sulla fronte
di lei, soffio adagiato
che non vive, né vivrà.

Questo cuore di sasso è una lapide
sbeccata, reca belle parole.

Quale sussurrata dea si svela
crudele tra le valli? A lei
che si divincola dalla terra
in esili tormenti
lascio chi ha vissuto.


La sepoltura

Da foto che eri
sei mutata in vaso,
ti abbiamo seguito
e messo in un buco
minuscolo.

In questo paese si mangia tanto, e si beve
anche ai funerali: pranzi, cene, la gente
si raccoglie tutta a tavola. Mi sta bene
non sopporto i lunghi lutti
castigati, cattolici, di casa mia.
          Solo avrei preferito
una messa cantata al lettore cd
della Salle des Cérémonies
di un crematorio. Io che non credo
avrei preferito vedere una croce
sulle vetrate blu senza segni
o un buddha, una mezzaluna
qualsiasi cosa - l’assenza di dio
al tuo funerale si copre con musica, cibo
caffè - il silenzio mi ha aggredito
più forte, appena fuori
     ma adesso basta.

Tornato a casa aspettavo l’estate
feroce di Agosto sul mare.
C’erano le stesse nubi
lo stesso freddo
di Charleroi. 


Qui étais-tu?

Tuo figlio sbucato dal nulla
corre avanti e indietro, indica, prende e getta
ci da il fiatone, lui che prima non c’era
e gli ride il viso a ogni sciocchezza
i pesci la palla il camion
papa papy nanou
prende per mano e va dove gli pare
maman est toute petite, il y a une photo maintenant.

Gioca sempre e non capisce.
Come lui, neanch'io.


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Epitaffio

In questo meriggio irreale d’ottobre,
guasta, l’estate. Lungo la breve fuga che ci porta
– venti o cent’anni, è sempre una vita –
tu eri lontana.
                       Ma quanta forza
per scuoterne il senso, chiuder le mani
a farne calice – e sopra ogni spiaggia è il diluvio.
Tu sola hai compreso.

sabato 10 dicembre 2011

'Non è più dato' di Milo de Angelis

Non è più dato. Il pianto che si trasformava
in un ridere impazzito, le notti passate
correndo in Via Crescenzago, inseguendo il neon
di un’edicola. Non è più dato. Non è più nostro
il batticuore di aspettare mezzanotte, aspettarla
finché mezzanotte entra nel suo vero tumulto,
nella frenesia di tutte le ore, di tutte le ore.
Non è più dato. Uno solo è il tempo, una sola
la morte, poche le ossessioni, poche
le notti d’amore, pochi i baci, poche le strade
che portano fuori di noi, poche le poesie.[1]


[1] Milo de Angelis, Tema dell’addio, Milano 2005.

lunedì 5 dicembre 2011

Georg Trakl - Nell'oscurità


L'anima, che nulla dice dell'azzurra primavera. 
Sotto gli umidi rami della sera
si immerse in brividi la fronte degli amanti.

Oh, tu, croce, che sola rinverdisci. 
Uomo e donna si conobbero con parole perdute. 
Per muraglie nude
il solitario va con le sue costellazioni. 

Sui tornanti silvani che la luna irradia
affondò la crudezza
di cacce andate. Lo sguardo dell'azzurro
invade da picchi già schiantati.[1]



[1] Georg Trakl, Liriche scelte, a cura di Pietro Tripodo, Salerno Editrice, Roma 1991.