domenica 27 maggio 2012

Via Posta Vecchia


*

In via Posta Vecchia una lanterna
di diamanti dà lume al giorno.
Annibale Albani in tunica
ne regge e regola il dorso.

Scruta al lucignolo del terrore
le movenze e le vendette
della gente cauta, ma impigliata
nel proprio dolore.

E dice: ‘Veglia nottetempo,
al conciliabolo della pupilla.
Fissa visionario l’iride
dell’ospite inquietante

l’orbita ottica stravolta,
senza polverizzarne
la Speranza presbite.
Non regolare la Storia,

recitando la miopia dei suoi passi.
Attendi i ritardi della memoria.
Non dar luogo a rimandi:
il tuo presto è già tardi.’


Le origini

Certe volte, quando a sera
l’inadempienza sboccia,
passo a gattoni al locale

che lascia la granitica
donna-squalo di Pazienza.
E per un capogiro d’associazioni

visive e uditive, gocce al timpano
spezzato, mi trovo a discorrere
pacatamente ai fusti del porticato:

‘Badi poco a San Severo,
la città del tuo pensiero.
Non ti frega della vite e dell’origini.

Non sguaini la ciocca dal
sovra-pensiero. Affùss’t da straniero.
Con l’esilio che segue ovunque.’

E prosegue:
‘Ci diede ogni cosa la vita,
e ogni cosa noi gettammo via.’


giovedì 24 maggio 2012

Sceneggiatura



Ho visto negli ultimi capitoli
di un romanzo finito e non voluto
occhi e labbra di un altro racconto
note sparse di un tema sconosciuto
non ancora suonato; possibili
pellicole di futuro girato
non vissuto eppure già proiettato.
Cinema: Sala del Non Accaduto.

Le Mura


Hai portato con te il filo.
Era un modo per depistare le vertigini del labirinto.
Dall’andito delle mura
sale la strada affilata
                                 con i suoi ciuffi di mattoni.
Nessuna collina, nessuna pianura.
Nel cratere c’è dell’acqua – nostra vita che ristagna,
riscaldata da un sole mulinante
e il gelo, su in cima, che bagna.
Da quando poi hai disbrogliato il filo.

Era un segno studiato per non perdersi,
per uscire da queste vie chiuse a vene.

Ci siamo persi negli intrichi dei rinsacchi.
Noi avviluppati dal gomitolo, io e te schiavi del baricentro
della città nuda e splendente.
                                             E il mostro spia
è un flash che ricambia cenni ammaestrati.
Attende il nostro gioco nel suo labirinto.
Noi contro la tormenta
                                   cammineremo, fra le buche
e il croco, altre arterie della mente incroceremo.
Case ridipinte, bosco sacro, scure intitolata alla terra.
E finalmente sarà paesaggio la nostra vita.

Ahi, il filo s’è spezzato!
Il Minotauro incalza sicuro – cresce la paura.
E non sei più certa di voler uscire dalle mura.

domenica 20 maggio 2012

Se tu dovessi venire in autunno (E. Dickinson)

Se tu dovessi venire in autunno
mi leverei di torno l'estate
con un gesto stizzito ed un sorrisetto,
come fa la massaia con la mosca.
Se entro un anno potessi rivederti, 
avvolgerei in gomitoli i mesi,
per poi metterli in cassetti separati -
per paura che i numeri si mescolino.
Se mancassero ancora alcuni secoli,
li conterei ad uno ad uno sulla mano -
sottraendo, finché non mi cadessero
le dita nella terra della Tasmania.
Se fossi certa che, finita questa vita,
io e te vivremo ancora -
come una buccia la butterei lontano -
e accetterei l'eternità all'istante.
Ma ora, incerta della dimensione
di questa che sta in mezzo,
la soffro come l'ape-spiritello
che non preannuncia quando pungerà.

venerdì 18 maggio 2012

Mercurio


Questo tavolo blu non prenderà vita per lavarsi da solo
né il giorno ti attende come vorresti. Palmi sul cranio.
Perché non scrivi nulla?

Che la poesia abbia perso il suo oggetto
questo è normale: cacciata l’anima a pedate
e ancora sempre più software il Concreto d’una volta,
ronzare sconvolti nella notte o nel sole, non molto diversi da
punti astratti – questo è normale         . Nutrimento per fami infinite            
ma la crepa rimane, e si allarga...

Perché non scrivi nulla?

                        *

Tra i vetri d’un treno, i primi dell’anno
un treno percorso da meraviglie incolore
ferito e felice – ancora ci vedo –
lanciato al ritorno coi lividi all’occhio.
Come nato – stupirmi che c’è l’imbrunire
tra mani di nuvole sopra gli hotel, resi
goffi e rossastri, fuori stagione – tugurio.

E un mare-metallo, colore mercurio.

mercoledì 16 maggio 2012

Piazza Rinascimento


Impulso di scendere
e conquistare sgravio
per gli scalini fino alla rotatoria
rotante. Come quando
t’accompagnai a vuotarti
di birra nel vicolo a cannella.

Io da dietro il muro
ad ascoltare con la ghisa
e le felci che proteggevano da Te.
Tu rannicchiata, soffio che scorre
per lo strappo della lampo,
fili imbrigliati per l’uscita.

A guardarti, anche in un getto
di sguardo assonnato
in quella semi-oscurità densa di fruscii
e gocciolii luccicanti,
sarei rimasto castigato
come il Marsia di Mirone.



*

Il taglio storto della via non guidava più a Te.
E proprio nell’istante della rinascenza,
quando la βρις che rasenta
è alla punta di sipari spalancati.

Seppur manchi fino a ingrigire,
io debbo camminare. Non sarà
il prugnolo, né la traccia nocciola
del tuo giaccone. Nemmeno
l’inebriante suono del tuo nome.

La via, però, cigola d’una bellezza
terribile. La corrente d’aria spersa
reagisce al mio passo contro-vento.
Il tuo luccichio m’attraversa. E tutto
vibra lento, col tremore
dell’onniveggenza fulminea.

Di quando si è provati dal portento.





Two Irish poets

                                                                                                                                                                                ‘Compose in darkness.
                                                                  Expect aurora borealis
                                                                  In the long foray,
                                                                  But no cascade of light.

                                                                  Keep your eye clear
                                                                  As the bleb of the icicle,
                                                                  Trust the feel of what nubbed treasure
                                                                  Your hands have known.’
                                                                                                                                                                         
                                                                                                                                                                                  Seamus Heaney


Mi vennero dinanzi due ombre,
forti del rinascimento irlandese.

‘I returned to a climb.
The distance was long, all the way.
In our word-hoard, there was poverty,
but even death lies and the void
deceives, like the bearings
                 of your history!
And you, compose, exspect, trust!’
  
Il più giovane mutò accento,
quasi che fosse tradito da sé:
                          
‘Bog leat, mo chroì!
Tá tú mall.
Chonaic mé Sweeney grian liath
                  ar an tsráid Anahorish,
aistritheoir atá ionam.
Is tine mé, bláthanna leabhair,
scáthán ar an t-urlár.’[1]

Poi, cogliendo le linee essenziali
della nostra lingua:

‘Yeats giunse fra i colli ventosi.
E presi a seguirlo
con poesia lenta e improvvisa.
Rimanemmo chiari fra le mura:
un dio consentì la nostra
oscillante uscita.’


[1] «Muoviti, mio cuore! / Sei in ritardo. / Vidi Sweeney sole grigio sulla strada di Anahorish, / il traduttore che è in me. / Io sono un fuoco, fiori di libro, / uno specchio sul pavimento».

lunedì 14 maggio 2012

Una sera a teatro, con amore


     Le maschere della compagnia itinerante sangimignanese Comici e co. (e con ‘maschere’ intendo proprio le maschere in cuoio, loro fisicamente insomma) decisero di punto in bianco, senza nemmeno consultare i propri attori, di allestire una rappresentazione al Metropolitan di New York.
     L’Arlecchino, leader indiscusso del gruppo, alzò la cornetta con la bocca dolorante, digitò (non domandate con cosa) il prefisso internazionale e il numero della segreteria del teatro newyorkese, e restò in attesa che qualcuno rispondesse dall’altro capo del mondo.
     «Pronto?», rispose una voce calda dal sesso imprecisato.
    La maschera fu assai turbata dal perfetto italiano dell’interlocutore, il quale pareva avesse indovinato magicamente e audacemente che la chiamata giungesse dall’Esperia. E, dopo qualche secondo di raggelato silenzio, la maschera in persona disse con voce autoritaria:
     «Sono l’Arlecchino, cioè la maschera fisica, non l’attore, l’Arlecchino della compagnia sangimignanese ‘Comici e co.’ Vorrei mettere in iscena uno spettacolo comico, assieme alle altre maschere, da voialtri newyorkesi. È possibile?»
     «Qui da noialtri tutto è possibile, – rispose con gioviale accondiscendenza la voce – certamente, quando volete, davvero, quando volete. Aspettavamo da molto tempo la vostra chiamata, e con quale desiderio! Sì, la chiamata di una maschera fisica, non d’un attore, diamine! Ci speravamo con vigore inusitato. E proprio mentre eravamo lì per dubitare, ecco che avete chiamato. Ma bravi!»
     «Onorato.», rispose con un filo di voce l’Arlecchino, sempre più esterrefatto per come prendesse piega la questione.
     «L’onore è il nostro, davvero, il nostro. Volete fissare subitamente e senza impegno le due date del vostro spettacolo, prego?», propose con dolcezza la voce calda.
     «Anche se voialtri non avete la più pallida idea del che noi si metta in iscena?», chiese, pieno di sospetto, l’Arlecchino.
     «Oh, ma noialtri ci fidiamo ciecamente, davvero, ciecamente.» La maschera rimase qualche attimo ad auscultare le proprie, legittime per la verità, preoccupazioni.
     Ciò di cui più si sentiva turbata era l’assoluta mancanza di chiarezza circa il sesso della voce, la quale si mostrava così bendisposta a scritturare una compagnia italiana senza richiederne le credenziali. Pur tuttavia non reputò conveniente far domande a riguardo.
     «Va bene il 7 marzo e il 12 agosto 1989?», chiese poi l’Arecchino, controllando rapidamente sull’agenda gli impegni della brigata.
     «Ma certamente, davvero. Avevamo in cartellone il Cyranò de Bergerac seguito a ruota da Hius clos, ma non fa nulla. Benché il tutto esaurito già da ora, li sposteremo di buona lena…»
       «In ambedue le date?»
     «Sì, il 17 marzo e il 21 agosto del 1989… compagnia Comédie-Française di Saint-Rémy-de-Provence… cancellato…»
     «Per la barba di Noè, straordinario!», esultò l’Arlecchino.
     «Cosa?»
     «Che ci scritturiate a danno della Comédie-Française.»
  «Comunque sia, non preoccupatevi: il teatro è il vostro.», precisò senza ombra d’indecisione la voce.
     «Sicuro?», chiese la maschera per gentilezza.
    «Sicurissimo, davvero, sicurissimo.» E sebbene la comunicazione fosse bella che finita, la telefonata durò altre due ore, nelle quali l’Arlecchino tentò invano di scoprire l’identità e il sesso di quella dolce e bonaria voce.
     Nemmeno gli passò per la testa il sospetto che, dall’altro capo della cornetta, ci potesse essere un’altra, burlona, maschera in cuoio. 

venerdì 4 maggio 2012

E così vorresti fare lo scrittore? (C. Bukowski)

Se non ti esplode dentro
a dispetto di tutto,
non farlo.
a meno che non ti venga dritto dal
cuore e dalla mente e dalla bocca
e dalle viscere,
non farlo.
se devi startene seduto per ore
a fissare lo schermo del computer
o curvo sulla
macchina da scrivere
alla ricerca delle parole,
non farlo.
se lo fai solo per soldi o per
fama,
non farlo.
se lo fai perché vuoi
delle donne nel letto,
non farlo.
se devi startene lì a
scrivere e riscrivere,
non farlo.
se è già una fatica il solo pensiero di farlo,
non farlo.
se stai cercando di scrivere come qualcun
altro,
lascia perdere.
se devi aspettare che ti esca come un
ruggito,
allora aspetta pazientemente.
se non ti esce mai come un ruggito,
fai qualcos’altro.
se prima devi leggerlo a tua moglie
o alla tua ragazza o al tuo ragazzo
o ai tuoi genitori o comunque a qualcuno,
non sei pronto.
non essere come tanti scrittori,
non essere come tutte quelle migliaia di
persone che si definiscono scrittori,
non essere monotono o noioso e
pretenzioso, non farti consumare dall’auto-
compiacimento.
le biblioteche del mondo hanno
sbadigliato
fino ad addormentarsi
per tipi come te.
non aggiungerti a loro.
non farlo.
a meno che non ti esca
dall’anima come un razzo,
a meno che lo star fermo
non ti porti alla follia o
al suicidio o all’omicidio,
non farlo.
a meno che il sole dentro di te stia
bruciandoti le viscere,
non farlo.
quando sarà veramente il momento,
e se sei predestinato,
si farà da
sé e continuerà
finché tu morirai o morirà in
te.

non c’è altro modo.


e non c’è mai stato.

mercoledì 2 maggio 2012

Dimenticanza


Pregando va le vie di neve
e sotto un vero cielo e nubi false
rincorre un vicolo che cresce.
Gennaio è finito e anche il velo
di apatia si  è sollevato: troppo morta
per lui che ammicca a Werther.
Un fiore colto già appassito
cresciuto un tempo sul cemento.
Un vecchio dal fondo del suo mito grida
senza alcuna ragione: non c’è più religione!