Canzone e dedica
Passi… passi…
Scarpe basse, gioie embrionali. Questo posto
è sorto un po’ alla volta, l’architetto ha idee semplici
butti una lastra tortuosa, sconnessa, ed è fatta. Il resto
spunta come funghi. Il borgo riposa
un oceano di rifiuti_ disteso sui tetti ti baciava il mattino
quel sapore amaro, sigarette già spente.
Le campane martellano, forzano il giorno
lo spezzano_ misure preventive. Nel vicolo d’ombra
i muri hanno occhi, le dita nervose
un ticchettio. Non fosse liceale
fidanzatissima, si potrebbe pensarla dentro una stanza
gli stessi abiti… Vengono giù i tetti, con la notte
tutta insieme_ le vie che si stringono, una rete
invisibile sotto di te. Sara è contenta.
Ho visto santoni allacciarti le scarpe
e mani di piombo traversarmi la mente.
La signorina sa bene la parte, il vestito le dona.
Conato di vomito, pugno-latte e ferro, si muove sinuosa
ma l’abito non fa il monaco (dicono). Cosa farsene
di una serata estiva, una risata isterica
un manipolo di amici? Eri ferito
il tuo non era_ non voleva essere
un lancio di dadi. Muori frainteso.
Così sia.
Non-dedica
Incarti gli allori, ti piace odorarli. Sanno
di complimenti, applausi, belle parole
strette di mano, canzoni, e altre
altre mille
vanità salmodianti. La tua vanità
la pelle che indossi_ ora per strada c’è solo
una gatta, si fa carezzare. Ammiri gli allori
li metti in cornice. Vorresti specchiarti: tra superfici
piatte vi capireste. Ma hai sbagliato poeta.
E’ un chilo, lascio?
Cumuli in tumuli
Ti credevi leggera. Ti annidavi strisciando
tra i punti e le virgole, lo facevi da te
per vederti farfalla. Ma non capisci:
farli a pezzi è il mio mestiere.
Canto stonato (Notturno_ 30 aprile)
Sotto il cavalcavia alza
La testa e vedrai
Tra le travi di cemento gli
Angeli
Dormire
Col becco sotto l’ala
Sognerai antichi saperi
Mentre la luna svela
Linee di nuvola
Errano nel buio del cielo
Dritte da chissà dove
Macchine sfrecciano impalpabili
Urlano canzoni dimenticate
Spariscono in uno
Strano effetto ottico
Corde
Di violino gli archi del tuo petto
Le bottiglie gettate all’angolo
traboccano, cadono, percorrono
il selciato. Colloquio silenzioso.
Un passo vibrante, l’altro un abisso
la sera continua a rincorrersi. In braccio
alla notte, in seno alla terra
c’è silenzio, c’è dell’acqua
e da qui posso vedere le tombe
vicino alla mia_ il satiro
zoccoli esausti, non intona melodie
il gufo lo ammonisce.
Sembra saggio.
Sotto il cavalcavia
i gatti cantano con voce umana.
Dalle vetrate
Le cattedrali sorridono. Grida di ubriachi
(mandare al diavolo dio, farsi bello
davanti a una lanterna)
a soli due isolati_ le vie senza nome
non hanno segreti.
Chi ha preso taccia, chi parla
abbia lingua in catene, chi cerca
trovi un rimorso. Delirio, visione poetica
stravolgimi ancora in queste ultime
ore di follia.
Le vie senza nome non hanno segreti
le ho battute una ad una, le ho prese
a sassate_ la chiave di queste
notti buttate al vetro, le carte mancanti
si sono smarrite tempo fa. Dalle stanze
nere di rimorso non leva
un respiro, solo il battito
arcano di fiori rossi.
E pure
brindiamo, se devo. Buonanotte
ai farabutti, alle stronze inseparabili
agli amori, ai dopo-cinema _ eco di altalene lugubri.
Questa città immobile mi spaventa ora.
Finisce qui la vostra strada?
Sotto il cavalcavia
i gatti strillano con voce umana.
La via sepolta
Il vociare dei vivi è sempre lo stesso, non termina mai
una baraonda, tutto confuso, come le piante
dei loro piedi: una sull’altra, strato su strato, la strada
è segnata da tutti e nessuno. Pensano, loro
di lasciare una traccia.
Sono stanca,
non distinguo più un passo_ il bambino
dal vecchio, l’uomo dal cane, la donna
l’ubriaco, l’omicida_ non vidi mai un santo
nei vicoli. I palazzi del centro, orrendi crateri
materia immortale che spinge e si scontra.
Non sento più nulla. Secoli fa
qua all’angolo, un macellaio_ passi confusi
divenne poeta, graffiò versi sul muro. Non ricordo
cosa scrisse, ma fui contenta. Ora il vento li ha lavati.
Mi sorprendo a pensarci ogni tanto. Ancora
gli dei camminavano sulla terra.
Liturgia
Mai più schiuderò gli stessi timori
che tengono i giorni quando l’ombra
dei boschi si allunga sui colli.
Sulle nubi, tombe d’aria
volti ingialliti
l’erba ricresce.
Le case, pastelli, anime al sole.
Nella periferia verde e grigia
luminosa, le ragazze che passano
leggere a marzo, non sono le stesse.
Orme tra i colli, lingue, memoria. Odora
un giorno chiaro dietro tende annerite.
Insegui quei passi, solcati nel tempo
fascìna in spalla, muti al domani. Nel rito del tutto
le vecchie radure sono rottami, i luoghi
vissuti restano estranei. Si è persa
la traccia, lavati via i segni. Riluce l’oblio.
Rimangono foglie - polvere umana?
Ricordi qualcosa che mai
hai passato, un cosmo inespresso
che inghiotte ogni vita.
Sulle nubi, tombe d’aria
faraoni azzurri
l’erba ricresce.