Certo, chiunque si sarebbe aspettato che Camus avesse rincontrato Sartre e che Sartre avesse rincontrato Heidegger, ma nessuno, nemmeno il sottoscritto, avrebbe mai potuto immaginare che Camus s’imbattesse per la prima volta nel Martino Heidegger in un accurato cafè di San Gimignano di Toscana (a quanto pare luogo molto affollato). Secondo le prime indiscrezioni l’incontro avvenne in tal modo:
Alberto Camus, occhio di lince, sbevazzava la sua aranciata. Il cameriere lo serviva e riveriva tra un ‘bischero’ e l’altro. Poi, entrò un tizio coi capelli lisciati e i baffetti gonfi. Dichiarò, fin da subito e schioccando fastidiosamente le dita, di provenire da Meßkirch.
«Wesen! Wesen! – disse convulsamente – Io cercare Wesen, ja. Non essere cvalcuno che dire me dofe trofare, ja?».
«Perché, signore, volete sapere dov’è Wese?».
«Wesen! Wesen! Io cercare Wesen, non Wese».
«Wesen non esiste, non è mai esistito. Wese sì, invece».
«Tu folere depistare me. No, io cercare Wesen… lui dire me cvalcosa d’importante…».
«E cosa, se posso saperlo?».
«Rifelare l’essenza delle cose, ja… rifelare essere essenziato dell’ente entificato, ja, nonché enticità dell’ente ontico in piena coniugazione con temporalità temporale del tempo, ja…».
«Tout court?».
«Tout court».
Camus continuò sicuro a sorseggiare l’aranciata, pur scrutando l’ospite alemanno.
«Tu conoscere essere, ja?», chiese provocatoriamente Martino.
«Posso dire di conoscere soltanto l’essere mediterraneo», precisò Alberto.
«Anch’io conoscere essere mediterraneo, ja…».
«Nossignore, voi forse conoscete l’essere essenziato dell’ente entificato o l’enticità dell’ente ontico, ma, fidatevi, non potrete mai intendere il pensiero meridiano. Noi, la nostra terra bruciata dal sole a picco. La carnagione bruna e abbronzata. La feroce passione del cuore. No, questo voi alemanni non lo capite, né lo potete capire, nonostante vi siate tanto occupati (e con gran zelo) della civiltà greca. Voi non avete mai vissuto la terribile realtà delle due pomeridiane, quando, d’estate, la città è pietrificata dal dolore della calura. La gente riluttante, dopo il pasto, rimane nelle case a bivaccare controvoglia e a schiumare d’accidia. Vi è qualcosa di stantio e polveroso che si attacca duramente alla pelle come un verme strisciante, e giunge fino allo spirito, fendendolo. In queste condizioni di pura disperazione è nata la filosofia, di cui voialtri nordici siete stati certamente i più grandi prosecutori, senza però averne compreso la iustificatio vitae. I Greci non poterono sopportare questo essere decadente, seppur fornito di grande vigore erosivo, ed escogitarono il pensiero ideale, la cui chiarità avrebbe compensato al presenziare di quella nuda concretezza».
E così si rabbuiò Alberto Camus. In quel mentre venne il cameriere toscaneggiante a prelevare l’ordinazione del tizio coi baffetti gonfi e i capelli lisciati. E quando ordinò una tanica di Paulaner Brauerei München doppio malto, fu manifesto a tutti che, sebbene non avesse i capelli biondi e gli occhi chiari, e propriamente non fosse uno stangone di due metri, si era al cospetto d’un alemanno d.o.c.
«Cosa tormentare te?», domandò perplesso Martino Heidegger.
«Una natura sporcata a tal livello ci consente di guardare al nulla con maggiore disperazione delle altre genti e degli altri popoli. Ma non è ancora questo che mi rabbuia e mi tormenta l’animo fino alla morte…».
«E cosa essere, ortunque?».
«C’è una donna che voi non conoscete, né conoscerete mai, perché, a dire il vero, nemmeno io conosco».
«E come potere tormentare te cvesta tonna, la quale tu non afere mai feduto?».
«E’ una donna che si nasconde, che non veste di abiti fruscianti per tirare tardi la sera, ma che vive di stenti e non illanguidisce col passare delle stagioni e delle epoche. Oh, fratello, io sono sicuro che c’è, esiste, per Dio! Forse in qualche frammento stellare del cosmo, in qualche brandello di umanità sconosciuta ella esiste, e verrà da noi con il suo seguito celeste. Ma pare non sia ancora giunta la sua ora…».
«E che ora essere mai cvesta?».
«L’ora delle maschere».