Preludio
Alësa Karamàzov
torna al monastero
tra le forre ghiacciate della sera.
Vigila Dmitrij oltre la siepe della izbà;
attende che il vecchio canti
un notturno per Grùsen’ka.
Ivàn è nella tormenta,
incuneato
di rivelazione: al processo
orzo non sarà, ma dannazione.
Myškin incipriato fino al collo
sbuccia la foto di
Aglaja Ivanovna:
il samovar si gela e si piega.
E Raskol’
si trastulla
nel suo chiassoso, criminale delirio.
Di Goljad’kin si sa poco o nulla.
Composizione
Una sciantosa fa la corte a Stavrogin
dai capelli corvini; s’apre l’impiantito
all’incedere di Pëtr Stepanovic.
Vedrà se stesso in
Trifomovic?
Kirillov traffica colpi di rivoltella:
s’alza Scigaliov per parlare.
Sâtov – questa è bella – cede a Dio
e non agli
indemoniati.
Ma squilla la sveglia tremenda,
Grusen’ka sa di non andare
da nessuno dei due: e ride a
crepapelle,
benché il vecchio vegli.
Pullula il tribunale di riottosi muzikì,
che s’azzuffano per un
copeco.
Fine
Katerìna, anima russa, rizza in arcioni.
Una presenza bussa alla porta
di Fëdor Pavlovic,
affettato di paura.
Smerdjiakòv muore per un rublo blu:
guarda indietro, e non torna più.
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