domenica 11 dicembre 2011

Ici (juillet 2010)


C’est pas facile

Sull’uscio di casa fa un po’ freddo,
piove, e la notte in Vallonia non aiuta.
Ridiamo, intanto, i muscoli tirati.
E chissà se ti rivedremo. Tu affondi
nelle braccia della zia.
Le lacrime. L’acqua scroscia forte
dalle fontane, là dietro, e il sorriso
imbarazzato ci bada un po’
a spegnersi.
E chissà se ti rivedremo.
Parrain ti consola, serio, prima
di scendere (Mathieu dorme già, Pierre
l’ha messo in macchina). Porti il tuo
male giù per le scale, sotto la pelle
con discrezione, e sei
di nuovo sulla strada.
Ci saluti con la mano, davanti a tutti
e sorridi, come una bimba alla sera
quando si va via.
Come se la morte fosse un gioco.

L’automobile è già partita
nel buio. Noi rientriamo in preda ai brividi.
Sull’uscio di casa fa un po’ freddo,
piove, e la notte in Vallonia non aiuta. 


Silenrieux

Frugano tra gli alberi soffi d’urne vuote
echi sommersi da strati di foglie
calcate sui sentieri. L’acqua scorre piano
a Silenrieux.

Per quelle vie umide, forse
una mano passava, e i tronchi alti
– li guardavi? – scandiva uno ad uno.
Covava la terra un male sperduto.

Nella lugubre estate di queste villette
un faggio violaceo macchia la riva
senza riflesso di stagni raffermi.

Mosche in delirio su sprazzi di luce –
nella radura trappole d’uccello
simili a tombe fra l’erba levate
disfanno il sentiero, e il bosco rimane.

C’è in questi luoghi un sapore recente
di cenere bigia dispersa nel sole
un velo mortale che filtra le ore.

Frugano tra gli alberi soffi d’urne vuote
nidi voraci che la città schiude
dal ventre di carbone. Il corvo è già passato
a Silenrieux. 


Mémoires d’un ivrogne

(Langue inconnue)

Verts les papiers
Des feuilles si belles
Banales et anciennes
Qui vont me noyer

Leur voix qui se baigne
Accepte son rôle

(Récit incertain)

Je vis d’une douleur
La seule dans milles règnes
Je vis des paroles
Qui saignent, qui saignent

Riant dans la veille                           
Je doute des Ailleurs

(Aube)

Vidée la bouteille
Avant la douceur



Il giorno della sepoltura

La ruspa scava nell’ossario
tra lapidi divelte, accatastate
c’è chi muore due volte.

Spente sulla pietra stanno le incisioni,
nomi e destini resi illeggibili, spariti dal tempo
coi loro portali. Torreggia il cipresso,
le alte radici spaccano i marmi.

Il cimitero è un cantiere
di enormi spazi vuoti
dove tutto finisce.

Lisce, annerite lungo la cinta
del crematorio, precarie, minute cripte
di bimbi ottocenteschi, disertate dai cadaveri
sgretolano. 


Regrets

Ho amato una baccante
nuda, plasmata tra la seta e il marmo –
la corona di vite cadeva sulla fronte
di lei, soffio adagiato
che non vive, né vivrà.

Questo cuore di sasso è una lapide
sbeccata, reca belle parole.

Quale sussurrata dea si svela
crudele tra le valli? A lei
che si divincola dalla terra
in esili tormenti
lascio chi ha vissuto.


La sepoltura

Da foto che eri
sei mutata in vaso,
ti abbiamo seguito
e messo in un buco
minuscolo.

In questo paese si mangia tanto, e si beve
anche ai funerali: pranzi, cene, la gente
si raccoglie tutta a tavola. Mi sta bene
non sopporto i lunghi lutti
castigati, cattolici, di casa mia.
          Solo avrei preferito
una messa cantata al lettore cd
della Salle des Cérémonies
di un crematorio. Io che non credo
avrei preferito vedere una croce
sulle vetrate blu senza segni
o un buddha, una mezzaluna
qualsiasi cosa - l’assenza di dio
al tuo funerale si copre con musica, cibo
caffè - il silenzio mi ha aggredito
più forte, appena fuori
     ma adesso basta.

Tornato a casa aspettavo l’estate
feroce di Agosto sul mare.
C’erano le stesse nubi
lo stesso freddo
di Charleroi. 


Qui étais-tu?

Tuo figlio sbucato dal nulla
corre avanti e indietro, indica, prende e getta
ci da il fiatone, lui che prima non c’era
e gli ride il viso a ogni sciocchezza
i pesci la palla il camion
papa papy nanou
prende per mano e va dove gli pare
maman est toute petite, il y a une photo maintenant.

Gioca sempre e non capisce.
Come lui, neanch'io.


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Epitaffio

In questo meriggio irreale d’ottobre,
guasta, l’estate. Lungo la breve fuga che ci porta
– venti o cent’anni, è sempre una vita –
tu eri lontana.
                       Ma quanta forza
per scuoterne il senso, chiuder le mani
a farne calice – e sopra ogni spiaggia è il diluvio.
Tu sola hai compreso.

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