sabato 24 marzo 2012

Cronaca di un malore


Il tranello (preludio o quasi una canzonetta)

Chi a tentoni scompone l’enigma
smeraldo della sintassi
non conosce affetto. Vieti per lui
le collere dei ventricoli
i fumi della paternità
le falle dell’educazione.
Chi si aggira tra i relitti splendenti
di realtà in potenza
ignora il fango e la franca tensione
dei tessuti, la gioia buona
di carne e di cuore
in simultanea.

A volte preferire che
nessuno si ami
estirpare il Male
senza capire che il Male
è soltanto un nome
dato alla vita.



Presenza

Crepitio di sogno e declino nelle tempie
il Montefeltro – doposbronza di chi viene al mondo
tra i vetri di un’auto.
Distese fresche di crepuscolo segnano
l’Inverno. Rade e nere fessure sui campi
i rami che saettano.

Qui ho trascorso vite intere, visto morire
i miei nonni, la casa vecchia di mia madre
venduta
eppure ho in mente solo l’aranciata
di quella mattina, il caffè
e il vino della sera – c’eri tu
straniera
a Ferragosto, qualche anno fa.

Rimani impressa più forte dell’infanzia
nelle architetture indelebili
mentre appeso in chiesa – in attesa – il Grande Rivale
non soffia un amen
(l’hanno bombardata e ricostruita;
di sicuro tra le macerie qualcuno
ha urlato)

  

Un solo lato della candela

(Paesaggio notturno e innevato di cittadina rinascimentale)
‘Non puoi farla diventare come la tua Poesia
ma puoi rendere la tua Poesia simile a lei’

                        I

(Passi attutiti, schiena curva, respiri affannosi e tirar su col naso)
Nel silenzio irreale del dopo-bufera il solito delirio
paesaggista a riparare lo scacco tra le luci impazzite della valle
ho la febbre e mi sento Raskòl’nikov
pensoso che procede a passo di sfacelo o semplicemente un Petrarca
ridicolo
cerco le tue orme – hai il passo dell’ideale, non si
vedono – le trovo appena
accennate dopo la nevicata
le incrocio – sei per forza tu che cammini a margine e traversi d’improvviso
tu che svolti a questo bivio
e vai a casa

II

(Il giorno dopo neve sui cornicioni sotto il sole e i porticati)
C’è qualcosa in me che disprezzi
‘la vostra visione della donna, quella con cui la
semplificate e mistificate, le persone hanno ritmi
diversi e per allineare uno all’altro ci vuole una profonda
conoscenza musicale, insomma trovati una donna vera e poi
saprai tutto’, è proprio quello che cercavo di fare, ma non capivi,
in virtù della tormentata inarrivabile esperienza che decanti concediti il lusso
di sognare il bell’eroe, per non agire e non sbagliare – ma questo già lo faccio io per te
che pure sono inetto
e letterato.

                        III

(Dissolvenza, interno in penombra)
Morale della favola
vecchio Werther: continua a bruciare
lo stesso lato – stasera muori un po’ di più
ma non tutto ancora. Serba quel poco
di tuo
per il finale.

(Ultima inquadratura sul personaggio in piedi in una claustrofobica toilette)



Apocope

Forzosa quarantena, scheletrico dipanarsi.
Tornato alla mia fetida, borghese città di mare.
Ancora immagino ti piacerebbe sentirmi parlare
così.

Il solito autobus (dentro ci sono persone)
fa tremare le finestre


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