Quando in un’arca
ben costruita
il vento la spinse
e il mare in tempesta, la colse il terrore.
Allora con umide guance
strinse Perseo fra braccia amorevoli
e disse: «Figlio mio,
quale dolore io debbo patire!
Ma tu, amore, dormi
e nel sonno assapori la tua pace di neonato,
disteso in una triste prigione
dai chiodi di bronzo, nella notte senza luna
immerso in nera foschia.
Non ti curi dell’onda salmastra
che altissima incombe sui tuoi capelli,
né dell’urlo del vento, ma giace protetto
da un manto di porpora il tuo bel visino.
Se anche tu avessi paura di ciò che è pauroso
porgeresti il tuo piccolo orecchio
al suono dei miei lamenti.
Dormi tesoro, dormi, ti prego
e dorma anche il mare
e dorma questa sventura senza fine.
Fammi apparire un nuovo spiraglio,
o padre Zeus!
Ma se è troppo audace la mia preghiera
e contro giustizia, ti prego perdonami».
Dall'Antigone di Sofocle:
RispondiEliminaAnche Danae soffrì
di lasciare la luce del cielo,
chiusa entro cella di bronzo,
prigioniera di sepolcrale talamo.
E pur era d'onorata progenie,
o figlia o figlia,
e in grembo serbava
il rampollo di Zeus,
che pioggia d'oro fecondò.
Ma tremendo è il potere del destino:
non ricchezze non Ares
non torre non scure navi
battute dai flutti
fuggire lo possono
Grazie per questi versi di Simonide di Ceo e dall'<> di Sofocle.
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