lunedì 14 maggio 2012

Una sera a teatro, con amore


     Le maschere della compagnia itinerante sangimignanese Comici e co. (e con ‘maschere’ intendo proprio le maschere in cuoio, loro fisicamente insomma) decisero di punto in bianco, senza nemmeno consultare i propri attori, di allestire una rappresentazione al Metropolitan di New York.
     L’Arlecchino, leader indiscusso del gruppo, alzò la cornetta con la bocca dolorante, digitò (non domandate con cosa) il prefisso internazionale e il numero della segreteria del teatro newyorkese, e restò in attesa che qualcuno rispondesse dall’altro capo del mondo.
     «Pronto?», rispose una voce calda dal sesso imprecisato.
    La maschera fu assai turbata dal perfetto italiano dell’interlocutore, il quale pareva avesse indovinato magicamente e audacemente che la chiamata giungesse dall’Esperia. E, dopo qualche secondo di raggelato silenzio, la maschera in persona disse con voce autoritaria:
     «Sono l’Arlecchino, cioè la maschera fisica, non l’attore, l’Arlecchino della compagnia sangimignanese ‘Comici e co.’ Vorrei mettere in iscena uno spettacolo comico, assieme alle altre maschere, da voialtri newyorkesi. È possibile?»
     «Qui da noialtri tutto è possibile, – rispose con gioviale accondiscendenza la voce – certamente, quando volete, davvero, quando volete. Aspettavamo da molto tempo la vostra chiamata, e con quale desiderio! Sì, la chiamata di una maschera fisica, non d’un attore, diamine! Ci speravamo con vigore inusitato. E proprio mentre eravamo lì per dubitare, ecco che avete chiamato. Ma bravi!»
     «Onorato.», rispose con un filo di voce l’Arlecchino, sempre più esterrefatto per come prendesse piega la questione.
     «L’onore è il nostro, davvero, il nostro. Volete fissare subitamente e senza impegno le due date del vostro spettacolo, prego?», propose con dolcezza la voce calda.
     «Anche se voialtri non avete la più pallida idea del che noi si metta in iscena?», chiese, pieno di sospetto, l’Arlecchino.
     «Oh, ma noialtri ci fidiamo ciecamente, davvero, ciecamente.» La maschera rimase qualche attimo ad auscultare le proprie, legittime per la verità, preoccupazioni.
     Ciò di cui più si sentiva turbata era l’assoluta mancanza di chiarezza circa il sesso della voce, la quale si mostrava così bendisposta a scritturare una compagnia italiana senza richiederne le credenziali. Pur tuttavia non reputò conveniente far domande a riguardo.
     «Va bene il 7 marzo e il 12 agosto 1989?», chiese poi l’Arecchino, controllando rapidamente sull’agenda gli impegni della brigata.
     «Ma certamente, davvero. Avevamo in cartellone il Cyranò de Bergerac seguito a ruota da Hius clos, ma non fa nulla. Benché il tutto esaurito già da ora, li sposteremo di buona lena…»
       «In ambedue le date?»
     «Sì, il 17 marzo e il 21 agosto del 1989… compagnia Comédie-Française di Saint-Rémy-de-Provence… cancellato…»
     «Per la barba di Noè, straordinario!», esultò l’Arlecchino.
     «Cosa?»
     «Che ci scritturiate a danno della Comédie-Française.»
  «Comunque sia, non preoccupatevi: il teatro è il vostro.», precisò senza ombra d’indecisione la voce.
     «Sicuro?», chiese la maschera per gentilezza.
    «Sicurissimo, davvero, sicurissimo.» E sebbene la comunicazione fosse bella che finita, la telefonata durò altre due ore, nelle quali l’Arlecchino tentò invano di scoprire l’identità e il sesso di quella dolce e bonaria voce.
     Nemmeno gli passò per la testa il sospetto che, dall’altro capo della cornetta, ci potesse essere un’altra, burlona, maschera in cuoio. 

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