II
Decisi così di avanzare, forse esisteva un’uscita; mi ricordai una favola già letta che diceva: ma il vento dell’uomo soffia soltanto in una direzione. Decisi così di avanzare e aperta la porta vidi stendersi di fronte a me un lungo corridoio, sulla parete sinistra un’altra porta: l’aprii. Vidi una specie di ufficio ed una donna alla scrivania, vestita di bianco, tutta indaffarata a manovrare pile e pile di fogli stampati. Appena mi vide aprì un cassetto e ne trasse un fascicolo che osservò scrupolosamente. Non sapevo se parlare o no, sembrava così presa dalla lettura che mi parve scortese disturbarla. Aspettai allora che avesse finito per parlarle. Non passò molto che rialzò gli occhi e mi squadrò dalla testa ai piedi. Quando fui sicuro di avere la sua attenzione le dissi:«mi scusi: sono entrato qui per sbaglio e non riesco più ad uscire». «Deve proseguire lungo il corridoio». Senza nemmeno pensare alle sue parole, la ringraziai e uscii dalla stanza.
Cominciai a camminare lungo il corridoio sollevato di aver finalmente scoperto come uscire da quel luogo. Mi sovvenne un gruppo di bambini, poco più che decenni, correre lungo il sentiero del bosco, e mi ritrovai a gridare: ‘non mi prenderete, non mi prenderete!’ e mi sentii felice.
Ma presto tornai a turbarmi. Quel corridoio pareva infinito: le colonne si susseguivano uguali, l’una all’altra e non una minima imperfezione in quei candidi muri che potesse alleviare l’ansia di un uomo smarrito. Era ormai passato del tempo da quando ero uscito dall’ufficio della donna; cominciai a sentirmi a disagio, mi mancava l’aria, non uno spiraglio in cui poter vedere fuori: chiuso in quel corridoio come in una cripta, in un luogo fuori dal mondo, lontano da tutto. Non avevo l’orologio e pensai fosse tardissimo e che molti dei miei impegni fossero ormai saltati. I miei doveri. Quanto tempo era passato, quante persone avevo già deluso? Come avrei potuto spiegare? Nessuno mi avrebbe creduto, oppure mi avrebbero preso per pazzo; cercai anche un orologio alle pareti per capire che ora fosse, ma stranamente non ne vidi nemmeno uno. Si critica tanto il divenire, ma si provi a vivere l’assenza del tempo e la sua claustrofobica tensione.
Continuai a camminare e ancora non vedevo l’uscita; mi voltai e mi stupii nell’accorgermi che neppure il punto da cui ero partito mi era ormai più visibile. Quanta strada avevo ormai percorso? In quel momento desiderai una via d’uscita che fosse una, non la libertà, una via d’uscita.
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