martedì 14 febbraio 2012

Il corridoio (una favola) 3, 4, epilogo

III

Finalmente una porta. Tirai un sospiro di sollievo e pensai:” finalmente l’uscita!”. Ma quando la aprì vidi un altro ufficio, identico al primo, con un uomo alla scrivania. Prese anche lui un fascicolo, lo sfogliò. Io irritato non attesi che avesse finito e gridai:« sono ore che cammino, non vedo la fine di questo maledetto corridoio, mi potrebbe dire come uscire da qui?» Lui mi guardò come si guarda un folle, e mentre continuava a fissarmi disse: « in fondo al corridoio». Non riuscendo a contenere il mio disagio, nell’udire quelle parole mi voltai di scatto e aprì la porta con violenza. Mentre uscivo sentì quell’uomo che mi gridava dietro: «lei è arrivato qui troppo presto. Non corra così, lo dico per il suo bene». Non lo ascoltai e mi precipitai di corsa verso la fine di quel corridoio che ancora non si intravedeva nemmeno in lontananza.
Mentre correvo, quasi senza più ragionare, vidi, sempre sulla parete di sinistra, una porta, e questa era aperta. Stremato dalla corsa approfittai di quella per fermarmi e vi guardai. Vidi dei ragazzi, sembravano allegri: sopra un grosso tavolo una lunga fila di bicchieri e delle bottiglie di vino, sembrava stessero festeggiando qualcosa. In mezzo a quell’allegro gruppetto vidi una ragazza bellissima, la guardai a lungo; quando si accorse che la stavo guardando mi sorrise e mi fece segno di entrare.  Ci pensai un attimo, ma ricordai d’improvviso il tempo e ripresi la corsa, sperando di giungere presto alla fine del corridoio.
Avevo ormai perduto il senso del tempo: potevo essere lì da un minuto come da una vita intera.

IV

Sentì all’altezza delle ginocchia una grande stanchezza, quasi non riuscivo più a reggermi in piedi; la fatica sulle spalle e desiderai di fermarmi e riposare, quando finalmente una felice visione mi ridestò le forze. Vidi una porta sulla parete alla mia sinistra, vi entrai e rimasi profondamente deluso quando vidi che anche questa stanza era un ufficio, identico agli altri, con l’unica differenza che questa volta alla scrivania non c’era nessuno; soltanto un fascicolo appoggiato sul piano, identico a quelli che negli altri uffici gli impiegati avevano sfogliato di fronte a me. Incuriosito mi avvicinai a questo e lo lessi. Vidi che vi era scritto il mio nome in grandi lettere maiuscole con affianco due date: una era il giorno esatto in cui entrai nel corridoio, l’altra distava settant’anni dalla prima. Mi chiesi cosa volessero dire quelle due date affianco al mio nome, e come facessero in quel posto a conoscermi. Un’ipotesi terribile mi balenò in mente: non poteva essere, era troppo assurda come possibilità. Mi guardai le mani ed erano quelle di un vecchio. Capì in quel momento di aver raggiunto quella tanto agognata uscita, ma non si presentava con l’aspetto di una porta, come lo erano state  tutte le altre tappe della mia corsa: era un sonno, un riposo, lungo quel corridoio la cui fine non si raggiunge.

EPILOGO

Non saprei dire se giusto o sbagliato sia dare una morale ad un sogno, o ad un racconto. La mia storia potrà essere letta liberamente; non senza un pulviscolo, spero, di piacere. Soltanto una cosa ci tengo a specificare, e cioè che il giorno seguente ai fatti narrati, quando mi alzai, decisi di non prendere la porta semiaperta, di non entrarci ché altrimenti non avrei potuto raccontare nulla.

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