mercoledì 28 settembre 2011

Spazi III

III

Ora ricordo, mi sovviene finalmente il motivo per cui partì tanti anni fa. Ero ancora un ragazzo, e quanto ero giovane allora e poetico; che tenerezza il ricordo! Ma sì, volevo fuggire il deserto, volevo dimostrare a me stesso e al mondo che qualche cosa si poteva edificare, si doveva edificare! che sarebbe bastato trovare nuovi spazi. Partì con l’illusione del bambino che attraversa per la prima volta lo steccato, con la gioia del poeta che sfiora l’assoluto, con l’anima più pura di una sorgente. Ed ora, che mi ritrovo a calpestare strade nuove che puzzano di bistecche arrostite e di rumori bianchi, mi pare di non essermi mai mosso dalla mia città. Dove, dove posso trovarli nuovi spazi? Ora che ho viaggiato tanto, conosciuto le più diverse vite, non so, certo non so. Dopo aver attraversato terre aspre dove l’uomo è un ospite o un fantasma; dopo aver superato città in cui l’uomo è il sovrano di un inutile regno di caos e macerie, dopo aver sviscerato i più disparati occhi e aver discoperto i più remoti scrigni, le labbra più serrate, mi accorgo che in tutti esisteva soltanto una paura immensa, una inconfessabile paura per la vita, che non portava ad altro che a cadere nel più meschino accontentarsi. Mi accorgo che l’amore e la paura sono, in fondo, la stessa cosa. Mi accorgo che è impossibile costruire verità, edificare sul nulla, sulla sabbia; soltanto gli asceti e i dotti sono capaci a edificare sul nulla, i poveri di spirito lo fuggono semplicemente, sbaragliandosi nel mare immenso e camminando sull’acqua, passeggiando come nulla fosse in mezzo ad una tremenda tempesta. Ma io non voglio fuggire, non posso accettare una casa, neppure un castello, se le fondamenta su cui è poggiato sono il nulla. Io voglio vivere, la mia forza vitale mi impedisce di costruire, di vendermi al demonio, all’avversario e mi impedisce di accettare quest’assurdità. Non mi resta che sorridere, un po’ a forza devo ammetterlo, ma non ho altro. E tu, Sara, ora anche tu nella mia mente. Quale candore poter credere che fosse una donna a potermi dare una ragione, quale pretesa e quale, in fin dei conti, ingenuità!
Questo mare, com’è eterno questo mare!


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