mercoledì 21 settembre 2011

Spazi


I

Lo dico a te perché, lo sai, mi hanno detto che è sempre colpa di una donna, che alla mia età un uomo certe follie le può fare soltanto per una donna. Altrimenti, dicono, vista la mia condizione sarei un pazzo a fare ciò che faccio. Non sarebbe giustificabile, dicono. Mio padre mi ha rincorso fin giù dalle scale e fermo sull’uscio, già con il fiato corto e una lacrima sulla guancia mi ha gridato dietro come fossi un delinquente, mi ha gridato tutto il suo amore ed odio insieme “cosa credi di fare! Torna qui, ti prego. La fuori non c’è nulla per te, la tua è un’idea folle. Torna qui!” Povero padre, lui ha sempre lottato nella sua vita, si è sacrificato per me. Diciamo che ha saputo essere un pilastro nella nostra città: è stato importante e ha lasciato un impronta sul suo tempo, ma il suo tempo è finito. La sua vita non è la mia. Sento che il suo fiato pesante e il suo respiro affannoso, quando a sera sonnecchia con le pantofole sulla poltrona, mi opprimono; le sue storie lacrimose o avventurose mi lasciano un senso di vuoto, non mi parlano più come quand’ero bambino. La tv che ronza inosservata mi provoca una rabbia assurda, inspiegabile e tutta concentrata verso quel vecchio che paradossalmente, mi ha generato. Io sono il futuro, e come tale, non mi vedo ancora, non posso vedermi, nessuno lo può. So soltanto che la sua vita non andrà sprecata, ma di certo non è la mia. Sento che col suo amore e i suoi sacrifici, mio padre ha distrutto tutto lo spazio attorno a lui, lo ha reso arido e pieno di nulla. Infinito e inutile, come un deserto. Io non posso vivere nel nulla. Sento di avere una missione, sento di essere importante, di poter fare qualcosa per gli uomini che, come mio padre, vagano abbagliati dal chiarore sterminato del deserto.
Ho deciso di partire, proprio così. Devo cercarmi nuovi spazi; temo che sarà un’impresa ardua, lo sento quando le viscere cominciano a tremarmi al pensiero di cosa potrò incontrare lungo la strada: paesi, storie, facce, forse altri deserti; ce ne sono tanti in giro, lo sento. Sono sicuro che cadrò lungo il cammino, i miei avi cadono da sempre; spero soltanto che saprò rialzarmi, spero di averne la forza. Forse all’inizio, quando ancora dovevamo darci un nome, secoli e secoli or sono qualcuno ha parlato di una età dell’oro, di un paradiso perduto; è forse proprio per questi, per ritrovarli che noi cademmo sempre.
Sento però che me ne pentirò. Ho paura di non giungere da nessuna parte, ho una strana impressione, come se il viaggio fosse infinito o che la vita di un uomo non sia sufficiente a percorrerlo. Ho in odio l’idea che un giorno dovrò tornare in ginocchio, sporco e puzzolente di fallimento qui, da mio padre, da te; in questa città sempre perfetta, dove tutti amano tutti, dove le leggi sono sacre e le persone, andando cieche per le strade si lasciano lentamente e dolcemente morire. Sento di appartenere a questo luogo ma io, Sara, non voglio rassegnarmi ad essere un burattino sul palco di questa città. Qui ormai si vive soltanto per sentito dire, i modelli, i miti sono morti, sono poveri, vagano anche loro smarriti nel deserto e come può essere forte un uomo che ha come sua gloria un cimitero. Sì perché qui tutti sono orgogliosi dei meravigliosi giacigli riservati ai morti. Le statue costruite ad arte sopra un cadavere sorridente, sì, perché qui si muore con il sorriso, Sara. Dopo morto tutti ti ameranno più di quanto non l’abbiano fatto in vita. Piangeranno per te, ti elogeranno pure se mai ti hanno incontrato una sola volta ed una hanno parlato con te. Qui si gioca in contropartita, si seminano querce che mai si vedranno fiorire e nessuno ci pensa, nessuno se ne accorge. L’amore per la vita: che oppio incredibile! capace di rendere amorevole la morte.
Scusami, ho finito per divagare come al solito. Devo partire Sara. Sento l’armonica del galeotto suonare quando sono qui, a sera o all’alba; tant’è che, guarda, ieri ho comprato un’armonica. Non la so suonare granché ma imparerò lungo il cammino. La suonerò ogniqualvolta il mio pensiero si dirigerà a te. Perché? Te l’ho detto: mi hanno assicurato che il motivo è e deve essere sempre una donna. 


Continua

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