sabato 22 gennaio 2011

Cronache italiote: il secondo ‘tragico’ Berlusconi

Le risate amare, lo si sa, celano sempre un fondo di assoluta tragicità. Certo, fa molto ridere che un settantenne multimiliardario, Presidente del Consiglio dei Ministri di un paese chiamato ‘Italia’, abbia costituito un aerobico e minorenne harem (ovvero un ‘puttanaio’, per chi non sapesse il significato della parola) nella sua sfarzosa villa di Arcore. E fa ancora più ridere leggere sui giornali i particolari piccanti delle alte disquisizioni telefoniche tra il magnate e le mignotte, degne di un politico del calibro di un Pericle o di un Cicerone. Sembra davvero che il problema più grande da risolvere per il nostro Presidente sia l’atavica e sempre inquietante scelta tra il podice ben tornito ma aguzzo e il deretano tondo tondo e sporgente. Mentre ci sono soldati in ‘missione di pace’ che muoiono in Afghanistan come banditi; mentre le giovani famiglie di questi soldati sono spezzate irrimediabilmente; mentre la crisi economica ci sommerge; mentre la cultura del Paese è già sommersa dal letame televisivo; mentre i media ci perforano la coscienza; mentre la poesia muore. Ma ciò che duole ancor di più, e sulla qual cosa noi tutti dovremmo riflettere, è il costante svilimento della dignità delle donne: e non parlo solo di quelle sguattere incartapecorite nell’animo che sgambettano senza pudore in televisione. Parlo delle donne ‘vere’ che non cedono alle lusinghe milionarie di un don Giovanni decaduto, omeopatico, abile frequentatore di marche di viagra, sulla stentata via del rincoglionimento perpetuo. E’ mai possibile che la opinio communis debba, giocoforza, tacciare la donna di povertà intellettuale, perché, dopo quarant’anni dall’affrancamento sessantottino, continua ancora a patteggiare la propria praesentia nel cosiddetto ‘mondo maschile’? Non c’è molto da ridere, allora. Anzi, tutto ciò pare oltremodo tragico.
E’ chiaro che c’è da ribellarsi ad un tale status delle cose. Ma quale rivolta è giusta? Spero che le donne abbiano in serbo qualcosa di nuovo, e che ancora ci sfugge; e che questa novità, come già ho detto, sia data non dal compromesso, ma dalla loro stessa, ineffabile bellezza.

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