mercoledì 19 gennaio 2011

La verità, atto unico, scena II

Scena seconda
Detti, più Katerìna Ivànovna

Ivàn (guardandola stupita). Ah, sei tu.
Katerìna (con dolcezza). Aspettavi qualcun altro? Se vuoi, vado…
Ivàn. No, siedi. Siedi, ti prego. (Silenzio. La guarda intensamente). Vuoi una tazza di tè?
Katerìna (siede). Sì, grazie. (Silenzio. Katerìna vorrebbe dire qualcosa, ma tace. Ivàn versa, pensieroso, il tè. Poi si gira verso i fornelli. Attende che Katerìna parli. Silenzio).
Ivàn (senza guardarla). Sei venuta per dirmi qualcosa?
Katerìna (fintamente distratta). No, nulla in particolare. Sono venuta per sapere come stavi.
Ivàn. Bene, grazie.

Silenzio protratto. I due si scrutano vicendevolmente.

Katerìna. Ivàn Fedorovic, saresti così gentile da sederti? Mi inquieti, rimanendo in piedi, con quello sguardo.
Ivàn. Non posso.
Katerìna. Perché non puoi?
Ivàn (agitato). Non vedi… c’è lui
Katerìna (tesa). Lui chi?
Ivàn. Quella canaglia che viene sempre a trovarmi, senza entrare dall’ingresso. Non lo vedi? (Indicando verso il gentleman). Non lo vedi? E’ ridicolo: un niente che viene qui a filosofeggiare, ad usurpare il mio posto, la mia vita. Ah, lui vuole incarnarsi! Che si incarni allora: che mi interessa? Io voglio soltanto sparire! (Girovagando nervoso per la stanza). Con quella faccia da ebete, viene qui a filosofeggiare: fosse almeno bello! Imbellettato da capo a piedi, con il suo schifoso grugno! Ah, ah… che pena! Dice: io voglio, io voglio. Da quando gli hanno messo in testa l’idea della volontà di potenza, non mi dà tregua. « Potere è volere ». Lui esiste in potenza, quindi vuole. E se l’esistenza è soltanto una questione di volontà di potenza, come dice qualche stupido filosofo di questi tempi… egli esiste, perché vuole! Che imbecille!... è tutto così terribilmente  ridicolo, Katerìna Ivànovna… (con accento febbrile). Anche tu, mia cara. Guarda come ti sei vestita… per cosa, poi?
Katerìna (per tutto il discorso, guardando Ivàn con ansia, poi quasi piangendo). Che stai farneticando? Sei pallido, sei malato… ora mi offendi anche: non sei più come un tempo, quando mi guardavi e tacevi. E quel tacere diceva tutto. Chi è questa persona di cui parli? In questa stanza non c’è nessuno oltre che noi due…
Ivàn (ghignando). Ma non l’hai ancora capito? « Il niente si è fatto carne, ed è venuto ad abitare in mezzo a noi ».

Ivàn si dirige verso il gentleman, che fino ad allora era rimasto seduto, in silenzio, a scrutare. Il gentleman capisce l’intenzione di Ivàn e si alza, impaurito. Ivàn butta la sedia per l’aria.

Ivàn (furioso). Via di qui, canaglia! Via! Devo parlare da solo con Katerìna Ivànovna… via di qui, sennò ti sbrano con le mie mani…
Gentleman russo (calmo). Sai bene che non puoi… io devo restare! Mi metto in un angolino, se ti crea meno problemi… non mi interessa certo dei tuoi discorsi con quella smorfiosa…
Ivàn. Parla con rispetto, imbecille!
Gentleman russo. Va bene, va bene! Ma ora calmati. Non vorrai che ti ritorni la febbre… Vado in fondo alla stanza, là! Non ascolterò nulla. D’accordo?

Il gentleman si avvia verso il fondo della scena. Ivàn lo scruta mentre cammina. Poi si siede al suo posto.

Katerìna. Perché hai atteso tanto a sederti, Ivàn Fedorovic? Ormai parli da solo…
Ivàn. Ora lascia stare… parliamo di cose serie: perché sei venuta qui?
Katerìna (fintamente distratta). E’ solo una visita… te l’ho detto.
Ivàn (ridendo dolcemente). Oh Katja, come sei pura, non riesci proprio a mentire. Tu sei venuta per dirmi qualcosa, qualcosa d’importante, ma non hai il coraggio…
Katerìna. Ivàn, sono seriamente preoccupata per te: parli da solo, ti comporti in modo strano, vedi spettri…
Ivàn (calmo). E’ tutto a causa della febbre, Katja. Ma sta’ tranquilla: tornerò sano... è solo un periodo di malattia, poi tutto sarà come prima. (Cercando di cambiare discorso). Allora, come va con i soldi? Ne hai bisogno? Ho giusto un po’ di rubli messi da parte…
Katerìna (interrompendolo). Ivàn, non sono venuta per parlare di soldi…
Ivàn. Ah, ecco: volevo ben dire.
Katerìna (in trepidazione). Ivàn… Ivàn… perché non ci sposiamo?

Ivàn ride ad alta voce. Poi tace. I due si guardano intensamente.

Ivàn. Mia dolce Katja! Noi non ci sposeremo.
Katerìna (delusa). Perché Ivàn Fedorovic? Voi una volta mi diceste che ero la vostra unica risorsa contro il niente, sì proprio voi, Ivàn Fedorovic. Diceste che al mio arrivo tutte lusinghe del niente sparivano… e voi eravate salvo! Perché ora non pensate più questo? Perché non dite più che io sono la vostra obiezione… l’unica vostra obiezione?
Ivàn (stanco). Katerìna, avete preso a darmi del voi. Siamo dunque degli estranei?
Katerìna. Finché non risponderete, sì.
Ivàn (a voce bassa). Stupida donna!
Katerìna. Ecco ora mi insultate anche… Certo: sono proprio una stupida per pensare che uno dal cuore di pietra come il vostro potesse stare a sentire i sogni di una povera fanciulla…
Ivàn (pentito). No, Katerìna, non dite così… voi siete perfetta. Il problema è il mio. E’ come avete detto voi: ho un cuore di pietra. Tuttavia, tra i sedimenti di questa pietra antica vi è ancora un posto per voi. E’ proprio perché sento di volervi bene, che non accetto di sposarvi. E’ vero voi eravate, e lo sarete per sempre un’obiezione contro i miei cattivi pensieri. E di fatti, quel buffone che non vedete, a sua volta non può vedervi… perché contro l’evidenza del vostro viso, Katerìna, egli può ritornare solo donde è venuto, è impotente, tace. Ma tutto questo ormai non mi basta più. E poi il matrimonio rovinerebbe tutto, credetemi!
Katerìna. Vivere con la persona che si ama è forse una rovina?
Ivàn. In un certo senso sì.
Katerìna. La vera rovina è vivere senza poter più amare, Ivàn Fedorovic!
Ivàn. Ma chi ama la verità è condannato a dis-amare il resto.
Katerìna. Dunque voi amate la bàrysnja Verità, figlia del vostro padrone?
Ivàn. Può darsi, Katerìna Ivànovna. (Sorridendo). Certo è che, se noi ci sposassimo, voi non sareste più la mia bellissima obiezione! Questo perché – l’ho compreso da pochi giorni – io vi ho idealizzato. Tutta colpa di quella maledetta foto, Katerìna Ivànovna!
Katerìna. Quale foto?
Ivàn (sorridendo). La foto che voi mi deste il giorno prima che partissi per Mosca. La fissai per tutto il viaggio. Fu quella foto che mi diede le mie poche armi contro il niente. Non c’è parola per dire quanto vi abbia amato in quella foto, e cosa io abbia visto in voi. Tutta la tensione dell’essere era riversata nel piccolo, impercettibile segmento di sforzo che faceva il vostro labbro per non sorridere. Tutto era lì, conscio della propria essenza: era come se ci fosse una pienezza di vita… ed io la guardavo e riguardavo con stupore, promettendo a me stesso che vi avrei sposato per godere ogni giorno di tale pienezza… ma ora con amarezza comprendo che non è così, che quella era solo una foto, e che la vita è fatta di troppe assenze per essere colmata da una sola presenza.
Katerìna (con durezza). Dunque io non sarei all’altezza della mia foto? E’ questo che volevate dire?
Ivàn. Oh, no! Non volevo offendervi… tuttavia non posso tenervi nascosta quest’altra mia sensazione. L’altro giorno, quando siete venuta a trovarmi, come oggi, eravate seduta su quella sedia. Io vi scrutavo perché cercavo in modo spasmodico quella bellezza… ad un certo punto vi siete alzata per preparare il tè: io vedevo le vostre mani, la vostra pelle, sentivo il vostro respiro… tutto mi pareva così ripugnante (ghignando). Sì, ripugnante! Poi inavvertitamente avete fatto cadere il cucchiaio a terra, ed io vi ho vista chiaramente mentre vi calavate; non riuscivo a sopportare il corpicino rannicchiato… lo sapete, Katerìna Ivànovna, che stavo per uccidervi?… se avessi avuto una scure sottomano, senz’altro vi avrei colpita. Guardate come vi amo: siete ancora convinta di volermi sposare? (Ghignando). Io potrei uccidervi… magari nel sonno, sì, potrei strangolarvi perché il vostro respiro mi ripugnerebbe… E se avessimo dei figli, potrei anche massacrarli… (Gridando). Allora, volete ancora sposarmi?
Katerìna (con orrore). Ivàn, sei terribilmente malato! Cosa vai dicendo? Come ti sei ridotto così? Noi siamo stati felici insieme, e lo saremmo stati ancora per molto, se avessi distolto le attenzioni da te stesso…
Ivàn (infuriato). Non cercate di sviare il discorso! Volete ancora sposarmi, dopo quello che vi ho detto, si o no?
Katerìna (in lacrime). Sì.

Ivàn si alza dalla sedia di scatto. Katerìna si mette le mani sul viso.

Ivàn (gridando). Io non vi amo! E neanche voi mi amate! Adesso cercate di essere la donna virtuosa che si fa carico di un malato, pur di tener fede al proprio spirito di dedizione… mentre io ho amato la vostra foto, non voi. Sì, io amo il vostro ideale, ciò che siete stata per un secondo… e proprio perché voi, in quel secondo, siete stata tutto, non potrei sopportare di convivere con la pochezza del vostro essere di sempre.

Katerìna si alza, e fugge dalla stanza. Ivàn, stremato, si muove dapprima a tentoni, poi crolla sulla sedia. Il gentleman russo riemerge dall’ombra. Silenzio. 

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