lunedì 24 gennaio 2011

La verità, atto unico, scena VI-VIII

Scena sesta
Ivàn

Ivàn. Il vecchio cerca solo di confondermi le idee… (guardando un punto fisso della parete). Mi sto rincitrullendo per cosa? Per gli uomini? Per la vita? Per Katerìna Ivànovna? Per cosa? Tutti sono capaci di offrirmi i loro bei consigli prismatici. Persino il demonio!... che stupidità… hanno un bel parlare della vita! Ma Katerìna… (vaneggiando) perché non sei soltanto così sorridente e solare? Perché cambierai? Avrei accettato il mondo intero, se tu non avessi mutato quell’espressione, che mi impresse una gioia mistica fin dentro il midollo! Questo perché il principio fondamentale dell’essere è la décadence, la distruzione. Ti guasterai, Katerìna… e non parlo solo fisicamente… il che sarebbe accettabile… ma spiritualmente… spiritualmente… (crolla sulla sedia). Katerìna… Katerìna…

Si ode un rumore di passi. Il bàrin è nuovamente sull’uscio.

Scena settima
Ivàn, Bàrin

Bàrin (con aria triste). Povero Ivàn… che posso fare per te? Chiedi libertà, chiedi verità! Ma queste non sono le parole giuste. Stai impazzendo per una cosa che ti dovrebbe dare la vita, e così te la nega. Dai retta all’amichetto che ti viene a trovare? Eh? Ivàn, mi ascolti?
Ivàn (febbricitante). Bàrin, siete voi?
Bàrin. Sì, Karamàzov.
Ivàn. Bàrin, sto per morire?
Bàrin. Forse no, Karamàzov. Forse puoi ancora farcela.
Ivàn. Anche se morirò, sarò lucido…
Bàrin (sorridendo). Certamente.
Ivàn (scrutandolo). Bàrin, perché siete tornato?
Bàrin. Avevo dimenticato il cappello. Ecco, è lì sul tavolo. (Prende il cappello).
Ivàn. Bàrin…
Bàrin. Dimmi, Karamàzov…
Ivàn. Qual è la parola giusta?
Bàrin. E’ forse l’ultima parola che hai detto prima che entrassi.
Ivàn. Ma quella non è una parola!
Bàrin. Ivàn, ogni uomo, per continuare a vivere con vigore, ha bisogno della sua parola, che è sempre diversa dalle altre, perché entro di sé risuona e scintilla come un sole. Ogni uomo ha avuto la sua parola, la parola che lo ha accompagnato con dolcezza alla fine dei giorni… per Dante era Beatrice, per Puskin era la Madre Russia
Ivàn. Bàrin, e per Cristo qual era?
Bàrin (con dolcezza). Perché ora chiedi di lui?
Ivàn. Vi prego, bàrin, parlatemi di Cristo.
Bàrin. Ho sempre pensato che la parola di Cristo fosse sua madre. Anche loro camminavano felici, anche loro si abbracciavano, benché l’uno fosse il figlio di Dio e l’altra l’essere puro per eccellenza. Ma Cristo come sarebbe arrivato al Gòlgota, senza una parola che lo sostenesse, quando anche Dio padre l’aveva dimenticato? E come sarebbe potuto scendere dalla croce senza pronunziare quel nome che solo lo aveva sorretto? Sì, forse anche il figlio di Dio necessitava di una parola che non fosse Dio, per arrivare a Dio suo padre. Perché vedi, caro Ivàn, quando siamo trascesi in mondi che non ci appartengono, e di fronte ai quali non possiamo batterci con un sano senso di realtà, ci soccorre l’immagine di una persona a noi cara, che ci distoglie da quel sentiero di solitudine, da quel Getsemani per riportarci alle cose vere. L’immagine così si fa parola. (Silenzio). Ivàn, qual è la tua parola?
Ivàn. La mia parola è forse l’ultima che ho detto prima che voi entraste.
Bàrin. E quella sarà la parola giusta.

I due si guardano intensamente. Ivàn continua il vaneggio contorcendosi sulla sedia. Il bàrin lo ascolta in silenzio.

Ivàn. Bàrin, ho disprezzato molto la vita che mi è stata data; e di questo ho molto orrore.
Bàrin. Io ti dico, Ivàn, che così l’hai amata più degli altri. Non essere severo con te stesso. Hai fatto ciò che hai potuto per vivere dignitosamente e senza menzogna, e di questo non si dimenticherà…
Ivàn. Chi non dimenticherà?
Bàrin. Colui al quale hai dato il tuo cuore senza saperlo.
Ivàn (franto). Padrone, non ditemi quei discorsi di speranza, giacché essi non sono per me. Lo sapete bene che mi tocca l’oblio… ma io avrei voluto soltanto vivere nella chiarezza… e così non è stato…
Bàrin. Karamàzov, non è mai troppo tardi per tener testa alle contraddizioni del mondo. Ce la farai, se vorrai. Ma dipende da te. Quanto alla chiarezza: essa verrà, ma non quando vuoi tu. Verrà perché avrai sperato nella sua venuta, non perché l’avrai decisa.
Ivàn (irritato). Nossignore! Ora sarà la volta dell’ospite…
Bàrin. Quel gentiluomo imbellettato che viene a trovarti? E’ solo una tua stupida fantasia… presta ascolto alla tua parola, ed egli sparirà miseramente dalla tua vista.

Silenzio protratto. Ivàn si contorce sulla sedia. Ormai è preda della febbre celebrale. Il bàrin si precipita a chiamare un dottore. Prima di uscire di scena si volta in direzione di Ivàn.

Ivàn (con sforzo). Bàrin, dove vai? Sto forse per morire?
Bàrin (tristemente). Non morirai prima di aver visto la verità.  

Esce. Sullo sfondo della scena appare il gentleman russo.

Scena ottava
Ivàn, Gentleman russo

Ivàn (scorgendo un’ombra). Sei tu? Sei tornato finalmente, canaglia… sei qui per succhiarmi la vita, parassita? (Ghignando). Vieni pure. Non rimanere nell’ombra, vieni qui a bere dal mio calice. Non ho certo paura della tua penosa nullità.
Gentleman russo (sorridendo). Colombello, hai scelto tu di lasciarmi il ‘posto ontico’, come direbbe qualche filosofo. (Silenzio). Allora? Il vecchio non ti ha convinto con la sua storiella delle parole?
Ivàn (calmo). Come ti è sembrata?
Gentleman russo. Mah, un tantinello retorica e banale come iustificatio vitae per un filosofo del tuo calibro. Il vecchio la sa lunga… ma ormai è bell’è stagionato… eh, eh! (Silenzio). Piuttosto: come stai, colombello?
Ivàn. Male, grazie.
Gentleman russo. Chi sposerai, dunque?
Ivàn. Sai bene che non sposerò nessuno!
Gentleman russo (fintamente sorpreso). E perché di grazia?
Ivàn (irritato). Canaglia, lo sai bene. Sono un morto che cammina… ma come vedi ragiono ancora… ti è andata male stavolta, vigliacco, non ti incarnerai finché possiedo anche un granello raziocinio, e conto di averlo fino all’ultimo…
Gentleman russo. Questo lo vedremo, colombello.
Ivàn. Su, facciamo a pugni allora!
Gentleman russo (ridendo a crepapelle). Ah, ah! Non fare lo sciocchino, caro il mio filosofo.

Si ode un rumore di passi. Entra di corsa Katerìna Ivànovna, seguita a ruota dal bàrin, che rimarrà in silenzio per tutto il tempo.

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