lunedì 17 gennaio 2011

La verità, atto unico, scena I

LA VERITA



PERSONAGGI

Ivàn Fedorovic Karamàzov

Un gentleman russo

Katerìna Ivànovna

Un bàrin, padrone di Ivàn

La Verità, figlia del bàrin

SCENA

Siamo in Russia, durante gli anni in cui Dostoevskij scrive “I fratelli Karamàzov”. La scena rappresenta l’andito di una izbà. L’arredamento della stanza è essenziale: un tavolino, due sedie di legno, un fornello a spirito per preparare il tè. Ivàn Karamàzov è servo di un bàrin del luogo: Ivàn è affetto da febbre celebrale. Egli attende la visita della bàrysnja Verità, figlia del suo padrone. Ella è assai brutta: tisica, lineamenti spigolosi, poco curata nel vestire e nella toilette. Katerìna Ivànovna, di condizione servile, invece, è bellissima: semplice e raffinata.

 Atto unico

Scena prima
Ivàn, Gentleman russo

L’acqua nel samovàr bolle. Ivàn è in piedi. Il gentleman russo, seduto sulla sedia, con le gambe accavallate, lo scruta incuriosito. Silenzio. Ivàn è pensieroso.

Ivàn (irritato). Cos’hai da guardare, canaglia?
Gentleman russo. Sono contento che hai incominciato a darmi del tu.
Ivàn. Imbecille. Dovrei darti del voi? Senti, ora sono di buon umore… solo che ho un gran mal di testa… quindi per favore, non incominciare a filosofeggiare, perché ne ho abbastanza: sei un parassita? Spettegola. Ma cosa dico? Tu non esisti: sei me, un mio sogno, una mia proiezione.
Gentleman russo (ridacchiando). Ah, ah!
Ivàn. Cosa ridi, imbecille?
Gentleman russo. Ti ringrazio per la tua consueta stima nei miei confronti. Sei sempre molto gentile. Ridevo perché insisti: io sono te, tu stesso parli e non io… bla, bla, bla… D’accordo: lo vuoi sapere? Non esisto. Sono un tuo delirio. Che amarezza! (Con sguardo e tono sognante). Ah, io vorrei esistere! Amo tutto di voi: la vostra arte, le vostre imprese, le vostre miserie. Ma più di tutto: il vostro realismo. Siete così tecnici, così pragmatici. Io invece: evanescenza pura… (guarda Ivàn che fissa il vuoto). Che hai, colombello?
Ivàn. Perché ora vuoi convincermi che non esisti? Tu sei qui per affermare la mia pazzia… perché, canaglia?
Gentleman russo. Ah, ma allora sei incontentabile! Tuttavia… ho cambiato metodo… poi te lo spiego. Parliamo di cose banali, suvvia! Almeno, puoi riposare la tua grande mente…
Ivàn (stanco). Di cosa parliamo?
Gentleman russo. Della barysnja, per esempio. Bruttina, eh? Ricca, ma bruttina. E poi… non si cura per niente… puzza, per Dio! (Ridacchiando). E’ anche tisica, povero babbo! Può darla in isposa soltanto ad un servo, caro colombello.
Ivàn (irritato). Vorresti insinuare che la darà in isposa a me, babbeo?
Gentleman russo. Ma tu non sei un servo: hai un animo nobilissimo, quasi come il mio. E comunque la darà in isposa a te. La stai aspettando? Verrà a chiedere la tua mano. Lei è molto colta, e ama le persone intelligenti, di qualsiasi rango esse siano. Occhio, colombello, oggi chiederà la tua mano.
Ivàn. Che somaro!
Gentleman russo. Non la vuoi? Non ti piace? (Con l’atteggiamento di chi si ricorda all’improvviso di qualcosa). Ah, sì! Che sciocco che sono! Tu ami la bellezza.
Ivàn. Menti! Credi che sia così volgare?
Gentleman russo. Scusa se lo dico, ma la tua condizione servile imporrà pur qualcosa. Sei intelligente, colto… e tuttavia volgare! Non prenderla come un’offesa, colombello! I tuoi migliori sentimenti ti sono vietati a causa della tua condizione sociale.
Ivàn. Smettila con la filosofia!

Ivàn prepara il tè. Lo serve in tavola.

Ivàn. Vuoi una tazza?
Gentleman russo. Oh, gradirei molto! Ma non posso. Sai, non esisto. Non vorrai sporcare il pavimento?
Ivàn. Credi di fregarmi con questi trucchetti? Tu vuoi farmi soltanto impazzire, ma non ci riuscirai. Mi basta dimostrare che non esisti… e puff! Sparirai, vigliacco! Tra un po’ verrà la barysnja… vedremo se cincischierai ancora alle mie spalle. (Ride sorseggiando il tè).
Gentleman russo. Potresti sempre impazzire, prima del suo arrivo…
Ivàn. Piantala. Io ti ho creato, io ti distruggo.
Gentleman russo (con pacatezza). Ci ho ripensato… potresti porgermi una tazza di tè?
Ivàn. No.

Silenzio. Ivàn sorseggia nervoso.

 Ivàn (calmo). Dimmi un po’, canaglia. Dio esiste?
Gentleman russo. Francamente non lo so. Ma ho sentito di un tale che diceva: « Tutto è permesso ». Sì, un filosofo. Sostiene che ogni uomo debba rinnegare Dio, senza eccezione. In tal modo tutta l’etica precedente crollerà e con essa l’uomo antico. Egli, con scienza e volontà, trionferà sulla natura. E proverà un’ebbrezza tale da soppiantare ogni speranza ultraterrena. Egli vivrà l’attimo, l’attimo infinito della vita. E quella frazione di secondo, quel battito inatteso e assurdo alimenterà la fiamma dell’amore verso l’esistenza. L’uomo basterà a se stesso. Il problema, sostiene sempre il nostro filosofo, è la stupidità umana. Questa epoca non verrà neppure tra mille anni per colpa di canaglie, di farabutti… Eppure, chi già conosce queste considerazioni, chi è al di sopra degli uomini, può già sostituire Dio. In questo senso, per lui, « tutto è permesso ». Anche l’antropofagia! Ah, ah!

Ivàn infuriato per la vergogna, prende la tazzina vuota e gliela tira addosso. Il gentleman la schiva.

Ivàn (calmo). Ti sei smascherato da solo. No, tu non esisti di per te stesso. Tu sei me, niente più! Stai parlando di me, e non dirai mai nulla che io già non sappia. Sei solo una sciocchezza.
Gentleman russo. Mi lusinga il fatto che tu mi abbia tirato la tazzina. Significa che mi tratti come una realtà. Tuttavia, ti pregherei di non farlo più, perché ultimamente ho i reumatismi.
Ivàn (ridendo apertamente). Ah, ah! Il diavolo con i reumatismi!
Gentleman russo. Il tuo problema è che ti vergogni. Ti vergogni del fatto che io possa ripetere ad alta voce i tuoi pensieri, anche quelli più ridicoli. Ti aspetti da me magnificenza e sublimità. Ma io ho poco da offrirti…
Ivàn. Non filosofeggiare, buffone!
Gentleman russo. Caro il mio colombello, non sarò io a farti impazzire, ma la tua giustizia!
Ivàn (inquieto). Cosa vuoi dire?
Gentleman russo (con aria di sufficienza). Ah… niente.
Ivàn (gridando). Parla, vigliacco!
Gentleman russo. Tu sei giusto, colombello! Sei la persona con più grande integrità morale che abbia mai conosciuto. Le incertezze, l’inquietudine, la lotta per la fede sono, per un uomo di coscienza come te, un’afflizione tale che sarebbe meglio non essere nati. Perché tu ami la giustizia. Ma ti manca la pietà. E se non hai pietà verso gli altri, come potrai avere pietà verso te stesso? Hai vergogna di te, delle tue bassezze… per questo non fai altro che umiliarmi. Ma è te stesso che umili. Sei un giudice inflessibile, che non conosce mezzi termini. Ma un giudice che non ha pietà è solo un boia senza cappuccio.
Ivàn (irritato). Ancora con la filosofia!
Gentleman russo. Ah, questa non è filosofia! E’ di te che si parla. Te lo ripeto: ami troppo la giustizia per amare un donna…
Ivàn. Cosa c’entrano adesso le donne?
Gentleman russo. Le donne c’entrano sempre. E quanto a te, non avrai il coraggio di sposarla… perché è brutta. Tu la ami, ma non riesci a guardarla. Sei così terribilmente legato all’estetica. E poi… ti vergogneresti anche di lei…
Ivàn. Racconta barzellette, canaglia! La giustizia, donne… stai solo dimostrando di non essere altro che me…
Gentleman russo (con aria di sufficienza). D’accordo. Parliamo di nichilismo.
Ivàn. Non hai detto che avremmo dovuto far discorsi banali?
Gentleman russo. Oh, ma li stiamo facendo! E poi… anche quando non si parla di nichilismo, si parla di nichilismo. (Silenzio). Il niente è il grande problema dell’uomo. Il fatto è che non riuscite proprio a comprendere il suo valore, perché non avete compreso il valore dell’essere.
Ivàn (con un ghigno). Parli tu di ‘essere’…
Gentleman russo. Ebbene sì, colombello. Io sono ‘niente’ e voglio ‘essere’. Tu ‘sei’ e aneli al niente. Singolare destino il nostro.
Ivàn (concitato). Tu vuoi ‘essere’, perché non conosci la stanchezza di ‘essere’, la fatica dei discorsi, l’arrancare delle passioni ormai consumate. Noi siamo scagliati in questo mondo che non ci appartiene e di cui ci sfugge il senso; a fatica abbiamo gli occhi aperti agli altri; ma non li capiamo. Perché siamo un deserto. Crediamo di amarci l’un l’altro, e scambiamo quello sporco sentire per amore, senza sapere, senza conoscere chiaramente quanto la volontà sia diversa per ognuno; e fin quando ci sarà questa differenza, questo scarto, noi saremo sordi alle parole altrui. Il momento più alto della nostra esistenza è la contemplazione; ma essa avviene, e può avvenire, credimi, soltanto da lontano. Visti da vicino, gli uomini sono ripugnanti. (Silenzio. Poi calmo). Il niente è un porto, è una quiete dove tutto si calma, i contorni si raddolciscono, le contraddizioni si placano, come le luci al tramonto… tutto sfuma… e ciò che sembrava avesse un grande significato, si rivela per ciò che è davvero: nient’altro che marginalità, stupida marginalità…
Gentleman russo. Non è il niente quello che hai descritto. E’ il paradiso.
Ivàn (duro). Il paradiso non esiste, perché, se esistesse, sarebbe una vigliaccata.
Gentleman russo. Che animo nobile! Te lo ripeto: sei troppo giusto. La giustizia estrema è disumana, e la disumanità è ingiustizia.

Silenzio. Il gentleman vorrebbe parlare, ma tace. Ivàn lo fissa.

Gentleman russo. Colombello, sono gentile con te e ti rivelo ciò che mai avrei dovuto dirti… (Tace).
Ivàn. Cerchi di ingannarmi?
Gentleman russo (dolcemente). Su, smettila di trattarmi come una parvenza. Io sono niente, ma voglio esistere. Il solo volere decreta la mia esistenza. L’hai detto tu. Quindi, ora ascoltami bene, perché ciò che ti dirò… (Scuote il capo. Tace).
Ivàn (impaziente). Dirai cosa?
Gentleman russo (con tono maestoso). Ti rivelo l’ultima parola sull’essere.

Si ode un rumore di tacchi. Il passo è incerto. Il rumore tace. Dinanzi all’uscio si intravede Katerìna Ivànovna. (Continua)

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