mercoledì 20 luglio 2011

14 Agosto 2010.



Si può desiderare di partire, di andarsene lontano, per tante ragioni e tra le più diverse e lontane tra loro. Si può voler scappare da qualcuno, qualcosa; si può essere stanchi e cercare risanamento altrove, in luoghi nuovi e mai visti nel cui mistero proiettare sogni e desideri senza alcuna regola o ragione; si può anche partire per il solo motivo di poter poi, alla fine del viaggio, ritornare; si può inoltre avere desiderio di partire per sfuggire ad una fiacchezza che va oltre il luogo fisico, ad un senso di inattività feroce che all’esterno di se stessi non si svela, che si sente provenire dalle viscere, dal passato dell’essenza, dal fondo del buio di una mente. Ma come fuggire da se stessi? L’intelligenza coglie questo paradosso, ma la fiducia nel viaggio non si cancella: si ha una cieca fiducia nel fallimento che si vede ormai prossimo. Ma le gambe fremono, hanno desiderio di partire.
Quando l’occasione si presenta, come un sasso gettato nello stagno intorpidito rompe la superficie di alghe mostrando all’acqua uno strappo di cielo, la mente intorpidita ritrova nell’immaginare posti non veduti nuova forza, nuova energia. Non sa a che cosa vada incontro eppure freme, appunto per questo motivo freme. La vita, allora, cambia la sua forma come l’acqua scossa dal sasso e la mente congettura che essa non si riduca ai soliti rituali quotidiani e alle fiacche e dorate abitudini dei giorni.
La meta in fondo non conta. Conta l’idea che si ha di essa: le illusioni che si hanno, le conoscenze superficiali. Ogni meta è un paradiso ed ogni arrivo una sconfitta, una delusione.
La mia meta è la Francia, il mio sasso con la erre uvulare. Sono speranzoso, quasi mi sento fremere. Non come da bambino, ma come non sentivo più da tempo. Stasera non dovrò tormentarmi nel dilemma se uscire di casa o meno, se affrontare da solo la strada piena di persone senza importanza e senza nome per raggiungere altre persone senza importanza ma a me note per strozzarmi con loro a suon di vino il fegato, oppure se rinchiudermi nella mia stanza, solo, a maledire ogni scricchiolio ed ogni rumore avvolto nella inquietudine che inevitabilmente coglie l’uomo quando è solo e chiuso in una stanza.

… Tutta l’infelicità umana deriva da una sola causa, quella cioè di non saper restarsene quieti in una stanza. (Pascal, Pensieri.)

Stasera si respira aria diversa, aria che domani non lo sarà più, puzzerà di nuovo. Tuttavia negli ultimi anni ho imparato a godermi questi piccoli istanti di ebbrezza, di insensata allegria che, a rifletterci bene, visti dalla prospettiva del ricordo non apparirebbero, di un solo capello, più brevi di un’intera vita.

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