venerdì 15 luglio 2011

Poche ore prima

Sto qui. Punto. Vabbè, allora sto lì. Niente. Sicché mi dovrei sedere nell’altra stanza per attendere. Vado, eh? D’accordo, dunque. Vado. Andato. Fatto. Ora sto qui. Prima ero lì che era il qui. Poi sono andato lì che era il lì. Ora sono qui che era l’altra stanza. Ebbene? Nulla di risolto. Anche Beckett faceva così. Però poi è morto.
Io, Carlo Michelstëdter, intendo fare ben altro. Ricapitoliamo. Ora sono qui, quel qui che era l’altra stanza. In casa non c’è alcuno. Ciondolo bel bello. Mi muovo ma nessuno comprende perché nessuno mi vede. E anche se vedessero? Beh, l’Universo se ne farebbe una ragione, anzi una ratio (per essere saccentemente precisi). E poi morrà.
Comunque sia, prenderò la mia grossa e comoda rivoltella e mi – spang – sparerò. Ah, Beckett! Coi tuoi drammi noiosi! Io farò allegramente diversamente. Però poi morirò.
Sto qui. Mi alzo. Vado lì. Niente. Altra stanza, altro mare. Vado. Fatto. Andato. Seduto. Cresciuto. Pasciuto. Alzato. Bagnato. Lavato. Mangiato. Bevuto. Donne a gogò. Andate. Fatte. Strafatte. Io ciondolo per casa. La vita è un eterno star qui o andar lì. Però poi morire.
Alt. Fermi un po’. Facciamo ordine che c’è un tal caos. Ora farò qualcosa. Mi siedo sulla scrivania. Prendo il pennacchio che annacquo nel calamaio. E scrivo. Sto scrivendo. Scrivo, eh? Giuro che scrivo. Continuo a scrivere. ‘Trallallero-trallallà che bello scrivere a questa età’. Ah, fiumi di scritto. Ottima calligrafia poi. Diamine. Scrivo. Rinfranca lo spirito. ‘Fiu-fì fìfì, fiu-fì fì-fì che bello scrivere e star qui’. Scrivo. Che balle scrivere, però. Balle di fieno secche e dure. Fino a morirne.
Alzato. Guardato il calamaio. Guardata la mia mano di cinque dita. Cinque per la precisione. Guardato l’insieme. Avvertita la calura. Unica soluzione trovata: spang-spang! Punto. A capo, lettera maiuscola. cammino. Oh, c’è il camino. Nero. Grigio. Non fuma da secoli, per hoc. Altri pensieri che distolgono dal chiodo fisso. Cioè: sto qui, di fronte al camino. Prima stavo lì che era il lì della sedia a scrivere. Prima ancora ero lì che era il lì dell’altra stanza. Ancor prima ero lì che era il lì. E ulteriormente prima ero lì che era il qui. Una cosa è certa. Ci sono più lì che qui. Io sono vari posti che non ci sono più. Sono sempre qui, ma sono nei lì che saranno. Il mio qui è, intimamente, un lì. Un lì che poi morrà.

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