giovedì 7 aprile 2011

Capelli d’oro, capelli di cenere. La Shoah raccontata dai poeti


Sulamith è la regina delle donne bruciate nei forni. Margarete è ciò che Adorno non gradisce affatto in quanto dono raro della bellezza, la quale si compiace e si trastulla a fronte della perdita «perché si deve ballare». Eppure Celan, nella sua Fuga della morte, lirica per così dire ‘contrappuntistica’, le fa convivere quasi non fossero quella contraddizione intollerabile, quell’inno alla vita nonostante il delitto e l’irrazionalità che ‘genera mostri’. Tale è lo spirito del florilegio Farfalle di spine. Poesie sulla Shoah, a cura di Valeria M. M. Traversi, giovane ed acuta interprete della letteratura novecentesca. Questo originale ed elegante lavoro, dal quale è possibile trarre importanti spunti di riflessione, raccoglie in sezioni distinte voci, anonime o prestigiose, scagliatesi contro l’assurda barbarie dei campi di concentramento e contro il temibile silenzio da essi generato. Difatti, com’è chiarito nell’introduzione, proprio il silenzio «avrebbe significato un’ulteriore e definitiva cancellazione delle vittime dalla storia umana». L’arte diviene, dunque, uno strumento insostituibile di ‘rammemorazione’, di ricordo perenne, poiché dismette il suo accento tonante di sollazzo meramente estetico per acquistare il rombo di un’esigenza più alta, in quanto morale («riconoscere alla memoria un valore etico significa da un lato salvaguardare il ricordo delle migliaia di vite bruciate nei forni crematori, dall’altro restaurare il valore della coscienza mettendo ogni essere umano di fronte alle proprie responsabilità»). Secondo l’attenta e profonda analisi di Valeria Traversi, che ha conseguito il Dottorato di ricerca in Italianistica all’Università degli Studi di Bari nel 2003 ed è stata curatrice di altri due interessanti volumi sul tema della Shoah, I rumori stridenti della scrittura. Scrivere dopo Auschwitz e Per dire l’orrore: Primo Levi e Dante, editi rispettivamente nel 1999 e nel 2008, «l’arte, la poesia sono in grado di testimoniare oltre e più profondamente del documento», poiché si valgono d’una speranza ‘conquistata’, passata attraverso il crogiuolo del dubbio, e non pigramente ‘accettata’. I poeti sono coloro che additano, per l’umanità, le vie dell’esistenza e lo fanno a scapito della Storia che «arrotonda gli scheletri allo zero», secondo il celebre detto della poetessa polacca Wisława Szymborska. Nondimeno, scrivere una poesia dopo Auschwitz non è affatto un atto di barbarie, ma diviene un potente gesto di coraggio, di consapevolezza e di resistenza dell’umano, che altresì naufragherebbe nell’oblio di sé e delle proprie opere. Margarete, emblema della letteratura e dell’arte, allora, si mostra al fianco di Sulamith, la quale non è sola essenza al mondo. Sulamith e i suoi capelli di cenere. Margarete e i suoi d’oro.

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