Dovevo fare anch’io la mia inchiesta sui timori e tremori dei nuovi iscritti al Borgo urbinate. E senz’altro l’avrei fatta a sangue freddo, nudamente, se non fosse stato per un accidente insolito, uno di quei casi clinici che innalzano il termometro corporeo.
Ero sull’uscio dell’edificio-segreteria: via Saffi, numero imprecisato. Camminavo a passo svelto, pur scrutando gli eventuali passanti volto-di-matricola che avrebbero dovuto, nell’ipotesi, aggirarsi con occhi lessi e spaesati, incollati alle anse dei corridoi. Di fatti, il volto-di-matricola presenta, per dirla con Lévi-Strauss, alcuni ‘tratti distintivi’ ricorrenti in ogni Ateneo: fifa atavica per qualsivoglia ‘forma professorale’, senso di dispersione cinematica mista ad euforia prontamente castigata, lungimirante fitta al costato da esame, e appunto occhi lessi.
Da questi sparuti indizi sarebbe partita l’inchiesta, se una ragazza biondo-platino, tutt’altro che occhi lessi, non avesse preso a conversare candidamente, con altri tre, di questioni assai vicine al mio intendimento.
«E voi a cosa siete iscritti?», disse.
«Io a Lingue, – rispose una morettina – e loro a Economia», indicando due tronchi d’abete, che non spiccicavano parola nemmeno a pagarli. Io, intanto, tornato indietro con un balzo incerto, annegavo nell’impaccio di orecchiare, squadrando i manifesti alla sinistra dell’entrata.
«Tu, invece?», rincarò la morettina. I tronchi, muti ma non tonti, avevano messo le radici.
«Forse Lettere…»
«Perché ‘forse’?»
«Non so. Non c’è lavoro…»
«Allora vieni a Lingue…»
«A fare il corso di ‘Culture per l’impresa’? No, non mi interessa. Vorrei studiare i classici, la letteratura… ma poi fare l’insegnante precaria, avvilita…in un liceo dove ci sono più docenti che alunni…»
«Si può sempre combattere…»
«Combattere per cosa? Per Petrarca? La verità è che per i letterati ci vuole una specie di vitalizio. Uno stipendio a sé che ripaghi delle loro letture. Poiché non è un lavoro il ‘letterato’…». Almeno in termini di produzione, credo intendesse. Cosa mai può produrre un conoscitore accanito di Leopardi, se non la perpetuazione del suo pensiero e della sua bellezza lirica? Niente. Corrono le ore nello studio. La palpebra cala. Le gambe ronfano. La schiena si spezza. E cosa rimane di ‘pronto’ e ‘fatto’ nella mano? Niente. E in questo niente, però, c’è lavoro.
«Bisogna inventarselo il lavoro!», dichiarò seccamente uno dei due abeti, prendendo floreale coraggio. Bel colpo, amico! L’hai mai visto un letterato che rigoverna i fili schizzati citando Les Fleurs du Mal?
«Io credo, – riprese con mestizia Blonde on Blonde – credo che, alla fine, non m’iscriverò»
«E cosa farai?», chiese di getto la morettina, mentre io, al culmine della commozione e della compartecipazione umana, non ero più di spalle, ma ascoltavo incurante dell’ingerenza, viso a viso-di-matricola.
«Lavorerò per avere qualcosa di ‘pronto’ e ‘fatto’ nella mano, qualcosa di concreto. E Petrarca avrà un lettore in meno». Il lettore giusto.
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