domenica 9 ottobre 2011

La conversazione (parte 2)

Coperta solo da un ampio asciugamano da cui emergeva la punta dei piedi, il ventre e il seno floridi, nudi, assieme alla rotondità delle spalle scoperte – quella bianca visione albeggiava nel chiaroscuro della stanza come il sole che si fa timidamente largo attraverso l’oscurità delle prime ore del giorno.
I lunghi capelli sciolti le nascondevano parte del volto, del quale potei comunque cogliere la morbidezza dei tratti nel mento e nelle labbra appena dischiuse, contratte in un’espressione che increspava la serenità di quella figura. Un naso minuto e arrotondato emergeva da una visiera d’ombra che impediva agli occhi di mostrarsi.
Se ne stava così, accovacciata su un gradino in fondo alla stanza, pensosa, volta verso un angolo della stanza fuori dalla mia visuale. La contenutezza dei suoi gesti, fremiti quasi impercettibili, mi dettero l’impressione che sapesse di non essere sola. 

Una seconda voce allora pronunciò parole, ed era una voce identica a quella della ragazza, solo le vocali risuonavano in maniera tanto calda e suadente da sembrare echi di sogno:

‹‹Resta da decidere chi delle due sia degna di immergersi››.
‹‹Io sono reale›› rispose l’altra.
‹‹Non esserne tanto sicura››.

Colpito dalla stranezza di una tale conversazione, e attratto ancora più dal timbro di quella voce, scostai il finestrotto fino ad aprirlo del tutto. L’idea di essere scoperto nemmeno mi traversò la mente quando vidi cosa il vetro nascondeva.
A fianco della fanciulla sedeva un cadavere di donna, uno scheletro vestito solo della propria pelle, dai seni aggrinziti che parevano occhi socchiusi e il ventre incavato sotto le costole come fauci spalancate, dal volto di teschio e le labbra ritirate che scoprivano i denti in un sorriso di morte.
Il cranio calvo percorso da ciuffi grigiastri. Le orbite vuote, due cerchi d’oscurità.

‹‹Non esserne tanto sicura, sono l’unica a proiettare un’ombra qui dentro›› osservò la morta poggiando gli zigomi scarni su ciò che restava della mano, imitando la postura della sua ascoltatrice. E in effetti le ombre gettate in maniera innaturale, senza nessuna logica, sulle pareti si adagiavano tutte ai suoi piedi di scheletro.
‹‹Come puoi meritarlo?›› si difese l’altra ‹‹Il tuo ventre è un tronco cavo, le tue dita rami aguzzi…››.
‹‹La tua anima freme invece per il viaggio›› la interruppe la morta ‹‹il tuo corpo è pronto a dare e ricevere la vita; ma questa sera qualcuno ti osserva oltre la lucerna, qualcuno che ha visto anche me e perciò non potrà mai amare i tuoi seni, le tue forme buone, il tuo segreto soffrire senza amare anche la mia perfetta, insensata sterilità, né separare l’incanto quotidiano del tuo mutare dall’orrore che suscita la mia visione. Egli sa già chi di noi due è soltanto una vaga menzogna, un’immagine senza sostanza, sa già chi di noi due sarà costretto a scegliere, se mai vorrà farlo››.
Tacque.
Per lunghi minuti si udì soltanto lo scrosciare dell’acqua. La ragazza non rispose, né si mosse. Io non potevo far altro che guardare, gelato dal terrore, le orbite vuote del cadavere, temendo ogni istante che le volgesse verso di me.
Così doveva accadere, e questo sarebbe accaduto se la vasca, straripando, non avesse spezzato il maleficio che mi impediva di distogliere lo sguardo, inondando la stanza e avvolgendo le due figure in un denso vapore. Vidi la morta alzarsi e procedere in direzione dell’acqua, mentre il calore diveniva insopportabile e il sudore, grondando dalla fronte, mi cadeva sulle ciglia.
Mi destai nel disordine della mia camera, quando il sole era già alto oltre la penombra in cui avevo sognato. 

Incontrai ancora la ragazza, a tarda notte, mentre aspettavo immobile il rintocco di qualche campana nel bel mezzo della piazza gremita di gente. Era ubriaca, blaterava frasi incomprensibili, mentre gli occhi senza riflesso si guardavano attorno senza realmente vedere nulla. Si reggeva in piedi solo grazie all’uomo cui si stringeva. 
Non dissi nulla, né tentai di ascoltare. 

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