sabato 15 ottobre 2011

Due parole a caldo sugli scontri di Roma

Ancora una volta l’azione eclissa col suo manifestarsi l’idea e la sua motivazione, attirando sui suoi risvolti caotici tutta l’attenzione e l’indignazione. E quest’ultima non doveva associarsi a quella di tutto il resto del mondo verso un sistema economico? Così non sembra, o meglio, se pure si conserva l’idea iniziale, come non nutrire indignazione, ora, anche per quegli individui che hanno scatenato il caos nella città eterna, che hanno attaccato, non solo lo stato ed i suoi simboli, ma i semplici cittadini e le antiche strade di una città. Il risultato di una azione simile risulta dannoso per i suoi stessi ideali, instillando la paura nella gente – che allora si dissocia – e la sfiducia verso chi si batte per il futuro di tutti. Chi darebbe in mano il proprio futuro a sfascia vetrine incappucciati o a ballerini di sassi e bombe carta? Inoltre il potere, alla luce di questi gesti (di pochi) è giustificato a ricorrere a sua volta alla violenza ed a rafforzarsi, sviando l’attenzione da quelli che sono i problemi fondamentali, quelli per cui ci si era riuniti in piazza. Ciò nonostante pare che non esista altra maniera, in questo paese, per esporre le proprie idee che la violenza. E quale modello può scaturire da un violento scontrarsi, se non un modello di distruzione e semplicistico disfattismo pronto a tutto pur di sentire per un attimo una scintilla di calore. Non ci si costruisce il futuro con le bombe; sono necessarie le macerie, ma non i vetri rotti di un negozio o le lamiere bruciate di una macchina: le macerie che servono sono quelle di una forma mentis che non riconosce nulla oltre il potere, e di fronte ad un sistema sempre più lontano, cerca il Robespierre di turno per farsi aizzare contro tutto e tutti, pur di sentirsi parte di qualcosa; occorrono le macerie di un’ignavia e un’apatia che inducono la nostra e la precedente generazione ad accettare tutto, finché ci sia possibilità di espletare le proprie pulsioni profonde e soddisfare i propri bisogni primari. Ora tutto ciò sta venendo meno e il risultato lo si vede giorno per giorno.
Ma attenzione: come spesso accade in questi casi, è stato un gruppo ridotto di manifestanti che ha saputo tanto elegantemente attuare una rivolta che, se nutrita dalla violenza sconsiderata verso tutti, non è che una rivolta del potere medesimo volta a conservare, in un momento di instabilità, se stesso. Se non ci si unisce come tutto il resto del mondo ha saputo fare, in un unico e grande fronte in cui gli atti sconsiderati e inutili di violenza vengano sostituiti da un più saggio e cauto costruire nuove alternative, non c’è possibilità di uscire da una situazione in cui il potere occupa una posizione di dominio; e le idee di una civiltà, che forse si sta lentamente svegliando, non riusciranno a sovrastare il baccano di qualche selvaggio teppista.

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