venerdì 7 ottobre 2011

Heaney e il concetto di ‘trascendenza nel reale’

‘[…] Nothing surpassed
That quick unburdening, backbreak’s truest payback,
A letting go which will not come again.
Or it will, once. And for all.’

Il poeta parla; e nel parlare compie un passo decisivo nella cosiddetta ‘Ricerca’. Di cosa poi riesce sempre difficile da esemplificare, soprattutto da quando l’umanità, per mano degli anti-metafisici, è certa di andare verso il suo Nulla. Eppure, nello Human Chain heaniano vi è un concetto nuovo, di cui si parlerà molto fra qualche anno: la trascendenza nel reale.
L’immanente non è anche il trascendente, non è l’attimo eterno che soppianta il dopo del metafisico né una questione di univocità nel visibile, come vorrebbe Nietzsche e la sua allegra combriccola di materialisti. Ma il trascendente è immanente. Heaney canta in Human Chain la complessità inedita della realitas che, lungi dall’umiliarsi di fronte al trascendente, si rende auto-trascendente, compiendo l’infinito nella memoria poetica.

A letting go which will not come again.
Or it will, once. And for all.


Cos’è la Catena Umana? Una solidarietà tra uomini? E poi: cos’è solidale? Quale sarà la ‘volta per tutte’? La volta della catena preconizza la ‘volta per tutte’: non è solo una precognizione; è già parte di quel che sarà. Ciò appare totalmente inedito nella poesia e nella cultura. La volta della catena non si presenta come vuota imago della ‘volta per tutte’, bensì è già compenetrata in essa. Quegli uomini che si passano di mano in mano sacchi di vettovaglie non sono ‘purificati’ dalla visione del poeta, né vittime di una più ampia metafora sul Kingdom, il quale è costantemente oggetto dell’intera silloge. Gli uomini partecipano del ‘vero’ (parola-chiave) che sarà ed è. Gli è che la divinità non si manifesta, né dev’essere dimostrata. Dio esiste o non esiste. Dio non muore, perché Invisibile. Dio è già in quello che si vede come il solidale. Il poeta, rivendendosi nella Catena, guardandosi dal di fuori, vede la realtà ultima nella realtà normale, per cui il cosiddetto quotidiano, tipico del poeta che vanga, è quanto di più metafisico si possa immaginare.
Secondo Russell, «in un certo senso, naturalmente, ogni esperienza è esperienza del divino, ma in un altro e opposto, poiché tutta l’esperienza è nel tempo, e il divino è senza tempo, nessuna esperienza è esperienza del divino»[1]. Nulla di più falso e meschino. Ma d’altronde Russell voleva far passare per lodevole anche la sua copiosa attività di adultero.
Il fisico, come Heaney insegna (e non c’è ragione per credere in maniera indefessa alla verità ‘scientifica’, disdegnando a priori quella ‘poetica’[2]), non attende al metafisico, né lo sottende. Or it will, once. And for all. L’uno di quella volta coincide col tutto dell’eternità.
Il fisico è metafisico.


[1] B. Russell, Perché non sono cristiano, trad. it., Milano 1972.
[2] Secondo Popper, il criterio di significato proposto dai neopositivisti come principio per distinguere la scienza dalla metafisica, riesce sì ad eliminare la metafisica, ma al contempo distrugge anche le proposizioni universali su cui si basa la scienza. Inoltre, la scienza non è verificabile, ma falsificabile.

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