lunedì 21 febbraio 2011

« Como un remordimiento ». La poesia inutile di Marco Antonio Campos

Cos’è l’utile? ‘L’essere in uso’ dell’oggetto al sopraggiungere di un bisogno o di uno scopo. L’uso è pertanto un servirsi di qualcosa, in modo che si abbia un tornaconto da mostrare alla coscienza che vuole. Affinché le cose tornino, è necessario che si produca uno sforzo (un labor) che apra il conto, per cui nell’immediata successione si possa parlare di ‘giusto tornaconto’. Noi lavoriamo in vista di ciò che ci è strettamente utile; e così sopravviviamo. Il resto è inutile. Nell’epoca della produttività, del blando negotium, che stanca, chi bada al Pensiero, e dunque all’otium, è senz’altro un « forestiero sulla terra ». Tale è il titolo della silloge di Campos (trad. it. di E. Coco, Sentieri Meridiani Edizioni, Foggia, p. 83), affermato poeta messicano, il quale riflette appunto sul tema dell’essenza controproducente del poetico, in quanto im-producente, all’interno di un contesto (il mondo attuale) che è interamente proiettato nel fare. Se l’attualità è il far-si delle cose, e la poesia (forte del suo etimo: poie/w, ‘fare per creare’ e dunque ‘fare per fare’) si mantiene alla genesi di ciò che si fa senza entrare nel merito, essa è sostanzialmente parola inattuale, e i suoi seguaci sono di necessità ‘forestieri’. Questi sono pertanto tenuti ad interrogarsi sul proprio ruolo nella società moderna. « Pero en serio ¿valiò la pena? » è il quesito posto da Campos. Ma è ancora possibile essere poeti, scrivere nel mondo del ‘fare per produrre’, e non ‘per fare’? « […] valse / la pena abbandonare / la scommessa dell’azione per consegnare la vita / all’inutilità della poesia? ». Quel detto talmente potente da spingere alla scommessa, la poesia, a cui si è consegnata la vita, cioè la si è messa in consegna, in attesa che la verità degli esseri si presenti, è stato irrimediabilmente inutile. L’interrogativo di Campos conosce già la sua risposta: la scommessa è perduta, finché persiste l’inutilità della poesia. Eppure in un altro luogo della silloge (La muchacha y el Danubio), il poeta dichiara: « Lei mi rimane, vive in me, mi chiama / come un rimorso ». Chi è lei? Senza dubbio, una ragazza di cui il poeta ha memoria nel suo pensiero poetante. Campos ricorda vagamente qualcosa, a tinte sfumate, ma senza scadere nel qualunquismo. Il vago rammemorare è la poesia stessa che si ripresenta in forma di donna, che dice « da qui è passata la tempesta », la tormenta della creatività viva e ridonata all’umanità « como un remordimiento ». Il poeta messicano, mediante una clausola vibrante in fine di lirica, ridona l’oscillante bellezza della lingua spagnola, che appunto fluttua nella pagina stampata fino a tuonare impercettibilmente nell’orecchio del lettore. E questo rimorso fremente, che desta l’uomo dal suo fare, risponde chiaramente all’interrogativo circa l’effettiva efficacia del poetare nella società: sì, è davvero valsa la pena di consegnare la vita alla poesia inutile

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