La vera letteratura è totalmente diversa. Ciò da cui desidero mettere in guardia i giovani intellettuali è il pericolo insito nell'autentica letteratura. Essa ci mostra con durezza, senza alcun eufemismo, quale orribile destino gravi sull'essere umano. Ma non lo mostra suscitando un fremito di paura come nella "casa degli spiriti" dei giardini d'infanzia: la letteratura non ricorre a simili trucchi, bensì a meravigliose frasi ed a descrizioni incantevoli, che rapiscono l'animo, con le quali ci rivela che la vita umana non ha alcun significato e che nell'uomo si cela una malvagità che non sarà mai redenta. Più la letteratura è di buona qualità, più ci comunica l'idea che l'essere umano è condannato. Chi fa di essa il proprio scopo di vita, non è condotto nel dominio della religione, che occupa senza dubbio una posizione lievemente più avanzata, ma viene portato sull'orlo del più terribile precipizio, e qui è abbandonato. Chi frequenta la terribile letteratura di alta qualità e si lascia portare fino al baratro - ad eccezione di quanti sono in grado di creare con analogo talento opere letterarie dello stesso valore - diviene preda dell'illusione di aver raggiunto quel precipizio con le sue sole forze.
Da un tale miraggio scaturiscono vari sentimenti. Si comprende la propria impotenza - si è solo degli intellettuali privi di forza, non si può cambiare la propria vita né attuare alcuna rivoluzione - e però si ritiene che la posizione raggiunta consenta di prendersi gioco di tutti. E' una conquista ottenuta grazie alla letteratura: e sebbene si abbia coscienza della propria inferiorità fisica, del disprezzo degli altri, dell'assenza di principi morali e della mancanza di qualche particolare talento, si è ormai preda della strana presunzione di avere il diritto di deridere il mondo intero. Si considera quindi ogni cosa con cinismo, si deride ogni impegno, si scoprono grotteschi difetti in chi dedica a qualche ideale tutte le proprie energie, si dileggia la sincerità e la passione, e ci si attribuisce il privilegio di disprezzare tutto ciò che è bello e superiore, le azioni pure ed impetuose, che sono una sorta di cristallizzazione dello spirito umano.
Questo atteggiamento si manifesta inconsciamente nel volto e nell'atteggiamento. Mi è sufficiente uno sguardo per distinguere tra la folla un ragazzo posseduto da simili idee: i suoi occhi sembrano limpidi, ma privi di una luce nel profondo, ed è totalmente sprovvisto di pura naturalità e di forza animalesca, le principali prerogative della gioventù: non è che una sorta di crittogamo.
Non v'è dunque da stupirsi che io abbia cercato di sottrarmi a questo tipo di letteratura, conoscendone più di altre il veleno. Tuttavia, essendo un uomo di lettere, continuo a subirne la persecuzione; non è dunque strano che io desideri almeno mostrarne la pericolosità a chi non esercita tale professione. Ed è su questo che si fonda il mio biasimo per i giovani intellettuali. Soltanto in anni recenti ho capito che basta praticare il kendo e brandire una spada di bambù per evadere, anche se per brevi istanti, dal pantano del nichilismo. Mi sono occorsi molti anni per poter comprendere che l'azione più semplice ha il potere di risanare dal morbo della letteratura: ma ormai esso aveva già avvelenato metà della mia giovinezza. Spero che i giovani intellettuali tormentati dalla febbre della letteratura, possano risvegliarsi prima di quanto abbia saputo fare io. Mi auguro che ci sia qualcuno di loro in grado se non altro di scrivere un opera non contagiata dal veleno altrui, ma intinta genuinamente nel proprio.
[1] L’intero brano è tratto da Yukio Mishima, Lezioni spirituali per giovani samurai, Feltrinelli, Milano 1990. pp. 49 - 51.
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