giovedì 17 febbraio 2011

Yukio Mishima: "Gli effeminati intellettuali" (parte prima)

Quando frequentavo il liceo - naturalmente in tempo di guerra - alcuni degli studenti più baldanzosi, appartenenti all'ala militarista, durante un dibattito attaccarono me e alcuni miei compagni, pur senza pronunciare i nostri nomi, affermando che in quel periodo di crisi in cui il Giappone rischiava l'annientamento era vergognoso che nella nostra scuola esistessero degli effeminati letterati dai visi smunti. Le giudicai parole idiote e decisi con ancor maggiore determinazione di dedicare la mia vita alla letteratura: non avrei mai immaginato che, alla distanza di un ventennio, avrei io stesso denunciato l'effeminatezza dei giovani letterati.
Non desidero tuttavia emulare coloro che si facevano scudo del potere e della guerra per rimproverare i giovani dediti alla letteratura. Semplicemente, in quest'epoca in cui la fiacchezza di spirito dei letterati si è diffusa in tutto il Giappone, provo l'urgente desiderio di dimostrare quanto astuta sia la struttura psichica dell'intellettuale. La letteratura è la professione ideale per chi desideri rifugiarsi in una zona sicura, come un granchio si occulta nella sua tana. La letteratura si fonda infatti sulla premessa che il suo mondo non abbia alcun rapporto con la realtà, e così può sfuggire ad ogni criterio di valutazione. I veri intellettuali sono coloro che non hanno altri interessi o impegni all'infuori della letteratura, che pongono come ideale di vita un'immortalità ed una dissolutezza ammissibili soltanto in un'opera letteraria.
Avverto costantemente il pericolo che la letteratura annienti la morale. E ho più volte analizzato i tranelli in cui cadono inconsciamente coloro che tentano di trovare un'etica ed un obiettivo di vita nella letteratura. Conosco dunque molto bene la pericolosità del fascino che essa esercita sui giovani.
Chi infatti cerca un obiettivo di vita nella letteratura è in qualche modo insoddisfatto dall'esistenza reale. Ma invece di risolvere concretamente la sua insoddisfazione nell'ambito della realtà, anela ad un mondo diverso, con la speranza  di poter risolvere in esso i propri problemi, e tenta di scoprire nella letteratura un obiettivo di vita o una morale. Ma la letteratura che soddisfa tali richieste è inevitabilmente di second'ordine: va però detto che i giovani da essa influenzati non subiscono che lievi danni. Non voglio citare alcun nome di scrittore, ma è certo che una simile letteratura è esistita ed è stata utilizzata in ogni epoca. Essa incita l'uomo ad una spiritualità più alta, è molto abilmente costruita al fine di illudere l'essere umano, dandogli l'impressione di elevarlo, anche se di poco, dal livello della morale comune, e di rischiarare, anche se con una debole luce, la sua vita. Naturalmente simili romanzieri agiscono con astuzia. Confortano i giovani delusi in amore, infondono nuova energia a coloro che hanno fallito, in modo che possano ritentare l'impresa. A chi è perdutamente innamorato e in preda alla disperazione, dicono: "Ecco com'è la donna", e lo guidano ad una visione lievemente più trascendentale. A chi è tormentato dalla povertà insegnano che al mondo non è solo il danaro ad avere importanza, che esistono anche i valori dello spirito. Chi ritiene di essere un debole sia fisicamente che spiritualmente viene consolato con l'affermazione che più si è deboli più si è vicini alla verità. Sono insegnamenti gentili, a volte severi, come la mano di una madre o di un maestro, e non poche persone si sono risvegliate alla vita frequentando una simile letteratura. Essa è inoltre generalmente fornita di spirito umoristico e di un certo fascino volgare, cui sono abilmente intrecciati, così da attrarre l'attenzione, insegnamenti che né la scuola né i genitori sanno dare. Il livello più basso di una tale letteratura è rappresentato dai racconti per l'infanzia. Le bambine incominciano a leggerli nei primi anni delle elementari, e si abituano ad immaginare i loro vaghi sogni cristallizzati in puri amori che saranno poi infranti dalle vicissitudini dell'esperienza.[1]   




[1] L’intero brano è tratto da Yukio Mishima, Lezioni spirituali per giovani samurai, Feltrinelli, Milano 1990. pp. 47 - 49.

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