martedì 1 febbraio 2011

MEDIO ORIENTE: I CANALI PER IL DIALOGO PARTONO DAL POPOLO

Nelle ultime due settimane, mentre la politica e i media italiani sono impegnati a focalizzare la propria attenzione sulle squallide e inservibili vertenze compendiate sotto l’epiteto  “Rubygate”,  nelle più importanti piazze medio-orientali (Albania e Tunisia incluse) si stanno consumando delle sequele di rivolte e insurrezioni cagionate dall’unico e inoppugnabile desiderio di sradicare i regimi autocratici.
Ma cosa hanno in comune realtà come Tunisia, Egitto, Libano, Yemen, Siria e Albania?
Contro l’estenuante e pluridecennale presenza di regimi corrotti e parademocratici, incapaci di fronteggiare problematiche quali l’iperbolica disoccupazione e l’elevato tasso di analfabetismo, si è issata la fondamentale bandiera di una società giovanile oppressa; giovani, uomini e donne per l’appunto, che rappresentano una considerevole maggioranza priva di qualsiasi prospettiva futura.
Ma se fino a un po’ di tempo fa sarebbe stato impossibile, per queste masse inappagate, prendere coscienza delle proprie condizioni o riuscire a manifestare collettivamente il proprio malcontento, oggi ciò è stato possibile grazie all’indubitabile apporto dei social network e della dirompente dimensione del web. Questo dato di fatto è constatabile nelle inesauribili attività di blogger come Wael Abbas e Karim Amer per l’Egitto,  Slim Amamou e Azyz Amamy per la Tunisia, Tal al-Mallohi per la Siria, Ramid Eid per il Libano e dai tanti gruppi che vengono creati su Facebook.  Del resto, dopo la Tunisia, lo ha capito benissimo il regime di Mubarak, che ha deciso di interrompere tutte le comunicazioni via internet e via cellulare per compiere il primo e autentico black out della storia. Lo ha capito anzitempo il governo cinese, che ha imparato ad usare la rete come arma di controllo, censura e propaganda, difendendosi da qualsiasi penetrazione libertaria da parte della cultura occidentale.
Internet, i blog e i Social Network corrispondono quindi a quello che erano i pamphlets e la stampa illegale durante le Rivoluzioni in Europa e in America: validi catalizzatori capaci di stimolare il fervore e la coesione delle collettività tiranneggiate.
Ed ora che abbiamo intavolato la discussione, occorre interrogarci sulle prossime eventualità. Che può fare l’Occidente per evitare che le attuali proteste si trasformino in foraggio per incombenti organizzazioni terroristiche come Al-qaida? Principalmente, il proposito è di non ripetere l’errore commesso in occasione della Rivoluzione Iraniana del 1979, quando gli USA decisero di appoggiare il regime repressivo dello Scià Pahlavi, inimicandosi i precursori dell’attuale Repubblica islamica retta da Mahmud Ahmadinejad. Le conseguenze di quella scelta le stanno pagando intellettuali del calibro di Bahman Ghobadi e Jafar Panahi, registi che hanno contribuito alle fortune e al prestigio del Cinema iraniano, i quali sono continuamente minacciati da censure e arresti.
Sarebbe inoltre un errore colossale confondere le attuali proteste con espedienti a sfondo integralista e religioso; ci troviamo, piuttosto, di fronte al malcontento di popolazioni che intendono rilanciare l’immagine del proprio Paese sotto delle matrici universali come libertà e giustizia sociale.
Occorre quindi formare un’intesa che eviti di considerare le folle manifestanti come oggetti di strumentalizzazioni: devono essere valutate come il frutto delle energie prodigate da una generazione di giovani desiderosi di conquistare le libertà civili; assiomi universali, che le democrazie occidentali hanno edificato nel corso della storia sotto circostanze corrispondenti e imprescindibili.
In Egitto è apprezzabile l’intenzione del premio Nobel El Baradei di candidarsi alla presidenza; le potenze occidentali dovranno imporsi l’autorevole compito di sostenere il suo impegno, affinché nella Repubblica Araba si possa sviluppare un sistema di istituzioni democratiche, laiche e rappresentative, che siano in grado rispondere alle prioritarie necessità politiche, economiche e sociali del rispettivo contesto.
Sarebbe un primo e importante passo verso un dialogo che ponga i popoli del Medio-Oriente come principali interlocutori; dai Fratelli Musulmani ai Cristiani Copti, infatti, per la prima volta siamo di fronte ad un'insieme di persone che esigono a pieno diritto il principio di autodeterminazione.
Non è nell’intenzione di nessuno che la situazione assuma pieghe autoritarie o fondamentaliste: non lo deve specialmente essere per l’Italia, che geograficamente e diplomaticamente è il Paese europeo più vicino all’Area medio-orientale, con la quale condivide interessi economici, turistici e geopolitici.

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