venerdì 25 marzo 2011

Prima Zaffata (o Lo Martedì Urbinate)


Lo martedì da Duzzo al Karaoke
v’è l’usanza d'andare in quel d’Urbino
a cantar con le voci chiocce e roche.

Smaltiscesi così il cotanto vino,
che in casa beviam pria d’uscire fuori
e di andar per i pub a far casino.

Ma se troppo le vene di liquori
pervase son spiacevole serata
si prospetta, e con postumi peggiori.

Così a lo grande Zaffo è capitata
esta sventura un martedì trascorso:
or canterò la sorte sciagurata.

La luna era a metà de lo suo corso
quand’io mi dirigeva a la magione
del buon Pietro per rapido percorso.

A sua insaputa quivi una gran festone
avea quel dì Braiano organizzato
per cui folla adunavasi al portone.

Ma poi che nella casa fummo entrati
Lambrusco e Nero d’Avola si stappa
e vin beviam furiosi ed assetati.

Più d’un bicchier a la calata scappa,
ma la disgrazia fu quando pigliare
Pietro vediam da la scansia la grappa.

Allotta il liquor videsi assaltare
da cotanti beoni e il vincitore
Zaffo fu che si mise a tracannare.

E godendo di quel bestial sapore
la bottiglia non lascia se non quando
ha tutto terminato il suo liquore.

Ebbri da Duzzo dirigiamci intanto
e già scegliamo insieme le canzoni
su cui avremmo intonato il nostro canto:

scegliam ‘Domani’ e grandi le ovazioni
son di tutto il pubblico ch'ascolta
e che perdona pure li stecconi.

Cantiamo insieme ancora un’altra volta
finché ciascun di noi al fin si stanca,
né più la lode ormai ci vien rivolta.

Ma ci accorgiamo allor che Zaffo manca,
e già temendo il peggio lo cerchiamo:
vicino lo troviam che in terra arranca.

E poi che un po’ di più c’avviciniamo,
guatando in terra il pozzo ch’avea fatto,
di farlo rinsavir e alzar tentiamo.

Ma invano! Quelli par dal suolo attratto
e più noi lo proviamo a sollevare
più egli casca e inizia a dar di matto.

Matteo lo prova allora a confortare
e parla molto, ma con fievol voce
Zaffo risponde: «Lasciami crepare!».

Ci giunge quindi Alberto assai veloce
e prima parla amabile e pacato,
ma poi con tono micidiale e atroce

grida e minaccia l'ebbro disgraziato:
«Alzati, orsù!», ma egli non è Cristo,
né Zaffo è Lazzaro, e riman sdraiato.

Ch'ei farcela non può s'è ormai ben visto:
in tre pertanto in braccio lo prendiamo,
­i volti di pietà e di rabbia un misto.

Per l'erta via Mazzini scarpiniamo;
giunti a la Piazza Pietro io ammonisco,
ché mezzi morti omai noi tre arranchiamo:

«Aiutami, ti prego, ché perisco!»,
e Alberto dietro a me in tribolazione:
«Ahimè, m’è uscita fuor l’ernia del disco...».

Di Pietro per fortuna a la magione
al fin giungiamo e su per l'alte scale
con sforzo micidial portiam Zaffone.

Omai sentiamci tutti un poco male;
ma finita che fu la scalinata
dentro casa potemmo riposare.

E il sonno pose fine alla Zaffata.

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