venerdì 25 marzo 2011

La parola, l'immagine. Il verso omerico

Omero, Iliade 1, 188-195:

Così parlò [Agamennone]. Nel Pelide sorse violento il dolore, il suo cuore
nel petto irsuto si spezzò in due:
o, tratta dal fianco la spada tagliente,
respingere gli altri e uccidere l’Atride,
o bloccare la bile e frenare l’impulso del cuore.
Mentre tali cose scuoteva in petto e in cuore
e già estraeva dal fianco la spada possente, giunse Atena
dal cielo. […]


La scena riportata rappresenta il celebre episodio del dubbio di Achille nel I canto dell’Iliade,  e costituisce uno snodo fondamentale per lo sviluppo delle vicende successive, dal momento che prelude allo scoppio dell’ira, motivo conduttore del poema. Nei versi precedenti Agamennone ha pesantemente offeso Achille, annunciando di restituire la propria concubina Criseide secondo il volere del dio, ma pretendendo in cambio Briseide, bottino di guerra dell’altro. I versi sopra riportati descrivono la reazione immediata di Achille a questo insostenibile sopruso. Istintivamente egli si sente sospinto in avanti, a farsi strada fra gli altri e ad uccidere l’autore dell’offesa; tuttavia un’altra forza lo trascina nella direzione opposta e gli impone di riporre la spada e, con essa, di frenare la collera.
Il dubbio fra questi opposti modi di agire presuppone innanzitutto uno stato di malessere fisico (akos, v.188) dovuto ad una situazione esterna particolarmente molesta, in questo caso la minaccia di Agamennone, insostenibile per un eroe e per la sua etico aristocratico-militare. Lo stato di incertezza che ne segue non si verifica in uno spazio mentale astratto, ma viene avvertito in una zona del corpo ben precisa, il cuore (etor, v.188). Il cuore di Achille si trova spinto in due direzioni opposte da due istanze qui incompatibili: da una parte l’esigenza istintiva di punire l’offesa, dall’altra il divieto etico di uccidere un superiore. Queste due forze letteralmente trascinano l’etor dall’una e dall’altra parte, fino a lacerarlo.
Il dubbio in Omero non è altro che una frattura fisica del cuore diviso fra due possibili azioni, uno status di paralisi nel quale l’eroe si trova improvvisamente e che subisce in modo del tutto passivo, senza sapersi in alcun modo risolvere. Sarà infatti l’apparizione esterna di Atena a ‘sbloccare’ Achille spingendolo, attraverso un ordine, nella direzione imposta dal suo codice etico (non uccidere Agamennone). 
L’espressione utilizzata per significare questa condizione, diandika mermerixen (v.189), è di enorme interesse, tanto più perché, se compare spesso in Omero,  non sarà più riscontrata nella poesia greca successiva, se non per parodiare il lessico omerico stesso (come in Aristofane, Vespe, 5) Se tale espressione viene oggi perlopiù tradotta con “oscillò nel cuore”, conformemente all’etimologia modernamente accettata che fa risalire mermerizo alla forma poetica mermera (‘ansia’), può essere proposta un’interpretazione più fedele ad un livello arcaico di significazione. Come supportato dalla scoliografia antica e dal commento di Eustazio, è possibile riscontrare nel verbo mermerizo un raddoppiamento della radice –mer, legata al concetto di ‘parte’, ‘porzione’ (meros = parte, Moira = porzione di vita assegnata, merizo = dividere). L’espressione diandika mermerixen, riferita al cuore di Achille, significherebbe pertanto ‘si trovò in due parti’, dunque ‘si spezzò in due’.


Se il linguaggio poetico ha il potere di creare, suscitare, evocare immagini, la parola poetica di Omero è immagine essa stessa. In una fase linguistica così arcaica e, soprattutto, nell’ambito di una performance orale in cui il poeta canta dinnanzi ad un pubblico di ascoltatori, è l’immagine a farsi parola, conservando nel verso tutto il carattere visivo e quasi tangibile che le è proprio.
Omero dispone, nel suo greco del IX-VIII sec. a. C.,  di una sfera semantica prevalentemente sensoriale, legata al mondo della fisicità e della materialità, e di quella si serve per significare l’immagine del dubbio che, prima di essere un conflitto astratto fra istanze mentali, è uno stato fisico di paralisi e di incapacità di agire nell’una o nell’altra direzione, dunque una vera e propria frattura.
L’immagine del cuore o dell’animo che oscillano nell’incertezza avrà grande fortuna in poesia,  ma acquisirà un valore metaforico del tutto assente in Omero.
Si vedano a tale proposito questi bellissimi versi di Virgilio, in Aen. 8, 20 ss.:


[…] Quae Laomedontius heros
 cuncta videns magno curarum fluctuat aestu,
atque animum nunc huc celerem nunc dividit illuc
in partisque rapit varias perque omnia versat,
sicut aquae tremulum labris ubi lumen aenis
sole repercussum aut radiantis imagine lunae
omnia pervolitat late loca, iamque sub auras
erigitur summique ferit laquearia tecti.


Vedendo tutto ciò l’eroe
 laomedonteo fluttua in una grande tempesta d’impulsi
e divide il veloce pensiero a vicenda qui e lì
e lo trae in diverse parti e lo volge ad ogni espediente:
come il tremulo lume dell’acqua in un vaso di bronzo
che riflette il sole o l’immagine della raggiante luna
volteggia ampiamente per tutti i luoghi, e s’innalza
nell’aria, e colpisce i riquadri dell’alto soffitto.
[trad. di Luca Canali]


In Virgilio l’oscillare incerto del pensiero genera l’immagine metaforica di un vertere fisicamente inteso, ma a monte vi è pur sempre un’operazione di natura mentale e astratta, che riguarda non a caso l’animum (‘animo’, ‘mente’, ‘pensiero’).
Al contrario, quando Omero descrive il dubbio come una lacerazione del cuore non sta trasferendo un’operazione mentale astratta in un’immagine fisica concreta, ma intende dire alla lettera che l’eroe viene fisicamente trascinato in due direzioni opposte fino quasi a provare la sensazione di una frattura.  L’idea del cuore spezzato in due parti opposte non ha in sé nulla di metaforico, ma coincide esattamente con la violenta sensazione che colpisce il cuore dell’eroe, espressa nel greco arcaico dal mermerizein. L’immagine della frattura è insomma fisiologicamente insita nell’espressione diandika mermerizein, è un tutt’uno morfologico e semantico con essa. Non è un caso che il termine scompaia nella letteratura successiva: la sensazione del dubbio assumerà nell’immaginario connotati più astratti, introspettivi, e il mermerizein non potrà che apparire desueto (tanto da essere addirittura oggetto di parodia linguistica).
Se la poesia conoscerà di lì a poco la grande conquista della metafora, il verso omerico, nato in seno all’oralità, si trattiene ancora legato ad un immaginario semplice e scarno, estremamente naturale eppure incredibilmente fecondo, quello delle cose di cui possiamo fare esperienza con i sensi.
Ma di fronte a noi lettori moderni è forse proprio questa naturalissima fisicità a rendere  la parola poetica di Omero nuda e incontaminata, schietta, pura, estremamente vera, eppure (o forse proprio per questo) sorprendentemente immaginifica.

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