K., riesumato se stesso, tornò al mondo. Decise di lasciare la pratica agrimensoriale, la Mitteleuropa e i casi cui s’era occupato anni or sono. Si trovò un impiego tranquillo a Saint-Rémy-de-Provence, la città di Nostradamus e Van Gogh, nel sud della Francia, coperta da oliveti selvatici. Il suo non era un lavoro sciocco: consisteva nel concludere il manoscritto de Das Schloß, che lo vedeva protagonista di avventure sconcertanti. Comprò una stecca di sigari, tre pacchi di penne a sfera e si chiuse nel suo stanzino in Avenue Folco de Baroncelli, deciso a non uscire che per pranzare. La faccenda gli era stata commissionata dal commissario Jules Maigret, che aveva incontrato su di un treno provinciale. Maigret s’era concesso una vacanza in Boemia, giacché di lavoro non se ne parlava proprio: era troppo vecchio per gli enigmi polizieschi.
Seduto comodamente sul sudicio schienale della cabina numero 113, il commissario scrutava K. Caricò la sua splendida pipa in ottone, e gli disse cautamente: « Monsieur, ci conosciamò? Ci siamo vistì da qualche partè? ».
« Credo di no. Gli è che, forse, lei conosce i miei trascorsi; ma d’oggi non si sa niente. E’ probabile che anch’io abbia letto qualcosa sul suo conto, pur tuttavia è difficile poter dire qualcosa. Nemmeno i nostri signori potrebbero aggiungere un che alle vicende. E’ giunta l’ora della responsabilità: non sarà idiota l’aver parlato, dopo che s’è taciuto per così tanto tempo! ».
« Cosa intende dirè, monsieur? », bofonchiò il commissario, accennando un sorrisetto sarcastico.
« Intendo dire, – sospirò K., osservando a lungo i mustacchi di Maigret, i quali roteavano in maniera assai bizzarra, quasi volessero intimargli la chiarezza del discorso – intendo dire che noialtri viviamo dei nostri frammezzi essenziali, e non del quotidiano. E non è gran bella cosa! Siamo sempre presi al vischio, per Dio! ». Maigret aggrottò le sopracciglia.
« Lei vuole affermarè che conosce assai la sua Storià da poterne parlarè coscientementè e con cognizionè di causà? », inferì.
« Suppongo di sì… ».
« Oui! Bien! Allorà le dico, monsieur: vadà a Saint-Rémy-de-Provence e finiscà lì il suo roman! ».
« E’ un ordine o un consiglio? », chiese con leggerezza K.
« Oh, no – si affrettò a chiarire il commissario, perdendo ogni vestigia di accento francese – oh, no! Non asserisco questo. Gli è che, come già lei ha detto da gran tempo, è facile trovarsi nell’imbarazzo di non poter riferire granché delle vicende personali. Se lei è bravo, lo faccia. Ma il mondo ci chiede la testimonianza. Eppure quel che succede è frutto di movenze particolari, particolareggiate. Non crede? Molti saprebbero sintetizzare le proprie faccende, ma non riuscirebbero per nulla a dare, con una parola – le ripeto con una parola – un sentore di pienezza ».
Da quel giorno, ogni volta che passo per l’Avenue, nell’attimo in cui il tramonto rosseggia sulle schiere di alberi scarni e autunnali, vedo una tiepida luce rischiarare lo stanzino di K. e immagino l’agrimensore, angosciato e solo nella penombra, che scrive le ultime pagine della sua Storia.
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