sabato 26 marzo 2011

La 'poesia' di De André

 
Via del Campo, ci va un illuso
a pregarla di maritare,
a vederla salir le scale
fino a quando il balcone ha chiuso.

Ama e ridi se amor risponde,
piangi forte se non ti sente:
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior.
            
Nella società moderna i cantautori stanno via via soppiantando il ruolo dei poeti, perlomeno tra i giovani, i quali oggi, sempre più di frequente, associano alla Poesia nomi che con essa hanno poco a che fare. Se da una parte questo fenomeno di confusione tra cantautore e poeta è un sintomo quanto mai negativo dello scarso valore che la Poesia detiene nella nostra società, è anche vero d’altra parte − e almeno in questo possiamo trarne consolazione − che ci sono stati alcuni cantautori, come Fabrizio de André, che proprio attraverso le loro canzoni hanno saputo risvegliare la sensibilità poetica in molte persone.
Perché se è vero che De André non fu un poeta (precisazione che i poeti contemporanei tengono a sottolineare) è altrettanto vero che alcuni suoi ‘testi’ sono poesia. Non è solo la sua grande capacità stilistica, l’abilità nelle rime e nelle consonanze, la raffinatezza metrica ad avvicinare questo cantautore alla qualifica di poeta: le canzoni di De André posseggono, infatti, quella profondità e quella capacità evocativa che pertengono solo alla vera poesia.
Nella celebre Via del campo, ad esempio, la triste realtà della prostituzione diventa fonte di riflessione sull’autentico valore delle cose, sull’ambiguità della realtà e la falsità dell’apparenza (‘dai diamanti non nasce niente, / dal letame nascono i fior’). E così l’immagine scandalizzante della prostituta viene addolcita e trasportata in un'aura che trascende la bieca apparenza, l’insensata realtà: la donna costretta alla prostituzione riacquista, come solo potrebbe accadere nei versi del ‘poeta’, la sua essenziale purezza (‘Via del campo, c’è una bambina / dalle labbra color rugiada, / gli occhi grigi come la strada: / nascon fiori dove cammina’).
Allo stesso modo in Ho visto Nina volare, come spesso accade in De André, una realtà prosaica e apparentemente ‘impoetica’ diventa qualcosa di più profondo allo sguardo intenso del ‘poeta’:

Mastica e sputa, da una parte il miele;
mastica e sputa, dall'altra la cera;
mastica e sputa, prima che venga neve.
Ho visto Nina volare 
tra le corde dell'altalena:
un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena... 
luce, luce lontana
che si accende e si spegne,
quale sarà la mano
che illumina le stelle?

Il cantautore ricorda una pratica antica svolta nel Materano da alcune donne anziane che lavoravano nell’arnia: la loro azione descritta con un realismo che potrebbe sfiorare il greggio, si immerge in realtà in un’atmosfera arcana e simbolica, dove la stessa reiterazione della frase ‘mastica e sputa da una parte il miele, mastica e sputa dall'altra la cera’, «sembra rappresentare l'andamento faticoso della vita: come api operaie è necessario costruire passo dopo passo le proprie esperienze prima che venga neve».[1] L’attenzione si sposta poi su un’altra immagine altamente poetica, quella di una ragazzina guardata di nascosto mentre ‘vola’ sull’altalena, da un io che può essere identificato con il cantautore da adolescente: questa contemplazione del ragazzo innamorato prelude, infine, all’immagine del ragazzo che guardando le stelle e contemplando il mistero della creazione, si interroga sull’Assoluto (‘quale sarà la mano / che illumina le stelle’), che diventa quindi il vero protagonista della canzone, preannunciato dall’atmosfera arcana dei primi versi.  
Ma è La Buona Novella, probabilmente il capolavoro del cantautore genovese, il luogo in cui maggiormente si può cogliere l’essenza poetica di De André: nel riuso dei Vangeli apocrifi la poesia del testo viene quasi a sopraffare la musica, anch’essa di grandissimo valore, di modo che il suono delle parole stesse sembra dettare la melodia dei brani. E soprattutto la figura della Madonna, che De André tenta di umanizzare, che acquista ancora maggiore splendore nei versi del cantautore. Nella bellissima Ave Maria, dal suono dolce e sacrale, i versi anche sciolti dalla musica posseggono quella essenzialità della vera poesia: De André immortala nel brano la madre di Gesù, nel momento più importante della sua esistenza, quello della maternità, la maternità del Messia per l’appunto. E con ineffabile dolcezza il testo della canzone diventa un inno a tutte le donne, che almeno una volta nella vita sono come Maria, «femmine un giorno e poi madri per sempre, nella stagione che stagioni non sente»:

E te ne vai, Maria, fra l'altra gente
che si raccoglie intorno al tuo passare,
siepe di sguardi che non fanno male
nella stagione di essere madre.

Sai che fra un'ora forse piangerai,
poi la tua mano nasconderà un sorriso:
gioia e dolore hanno il confine incerto
nella stagione che illumina il viso.

Ave Maria, adesso che sei donna,
ave alle donne come te, Maria,
femmine un giorno per un nuovo amore
povero o ricco, umile o Messia.

Femmine un giorno e poi madri per sempre
nella stagione che stagioni non sente.


[1] Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, p. 163.

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