lunedì 27 dicembre 2010

La parola che crea

Indubbia è attorno a noi la presenza di una realtà concreta e tangibile, materiale; percepita dai sensi in maniera diretta e incontrovertibile, essa è il luogo su cui si costruisce la nostra esperienza, la strada di ognuno. Tuttavia questa strada è coperta da un intricata rete di sterpaglie che la rendono inconoscibile, che la nascondono; e la realtà, nel suo essere un grande ente, un continuum e un infinito, alla mente umana è inconoscibile: troppo grande per essere oggetto di uno sguardo.
Affinché il nostro intelletto possa comprendere la realtà infinita, e affinché possa il nostro sguardo soffermarsi ad osservare il sentiero, è necessario che questi vengano sezionati in parti più piccole e in seguito rapportati tra loro per osservarne la funzione e la natura. L’operazione di questa suddivisione e questa comprensione avviene attraverso quello che è l’attributo più proprio dell’uomo e più distintivo: il linguaggio.
Dal momento che l’uomo, nella fisicità della propria esistenza, è un essere storico, caduco, non possiede la capacità di giungere ad una comprensione totale, assoluta; ma non per questo deve rassegnarsi alla inconsapevolezza. Attraverso la poesia, infatti, può avvenire un processo di conoscenza che rinnovando il linguaggio e portandolo a superare quelli che sono i suoi limiti in una società, inducendo le parole ad ampliare il proprio contenuto di conoscenza, il proprio valore semantico, fa in modo che la realtà di fronte a noi assuma un aspetto nuovo, e che anche il nostro rapporto con essa sia rinnovato. Oggi più che mai: in questo momento storico in cui gli –ismi cristallizzano, bloccano una realtà in continuo mutamento e la rendono, semplificandola fino all’estremo, inconoscibile per l’uomo, è necessario ascoltare la parola che crea, la parola della poesia. Ed è giunta l’ora di dare il giusto peso alla parola che intrappola e semplifica, la parola che generalizza: la parola dell’ideologia sistematica. 

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