martedì 7 dicembre 2010

"La poesia è morta" (Parodia dell'aforisma 125 della Gaia Scienza)

Il filologo folle. Non avete sentito di quel filologo folle che, correndo per le strette vie di Urbino, si recò all’Università e si mise a gridare senza sosta: «Cerco la poesia! Cerco la poesia!» – Poiché proprio là vi erano molti che non avevano amato la poesia, il filologo suscitò le risa degli astanti. «Si è forse perduta?», disse un facoltoso professore. «Si è smarrita come un neonato?», disse un altro. «Oppure se ne sta nascosta, perchè ha paura della nostra scienza? Si è imbarcata per l’Oriente? E’ emigrata?» – così gridavano e ridevano, schernendolo. Il folle balzò in mezzo a loro, e tuonando con lo sguardo, gridò: «Dov’è la poesia? Voglio dirvelo! Anche noi l’abbiamo uccisa – voi e io! Noi tutti siamo i suoi assassini! Ma come abbiamo potuto farlo? Come abbiamo potuto ammutolire del tutto il grande canto? Chi ci ha privato della parola essenziale? Quale atto abbiamo compiuto per cui le redini della speranza sono state recise? Per dove si muove il popolo sbrigliato? Per dove ci muoviamo noi, imbizzariti? Via senza la parola? Non andiamo errando come per un Nulla infinito? Non siamo dinanzi ad un schermo vuoto? Non continua a calare notte sulla notte? Non si rabbuia la stessa Urbino? La poesia è morta! Resta morta! Ed anche noi l’abbiamo uccisa! E se la poesia è ciò per cui il sacro si manifesta, la sua morte non precede forse quella di Dio? Chi consolerà con la sua parola noi, assassini dei consolatori e della parola? Chi è stato l’ultimo dei poeti? Cosa verrà dopo l’ultimo? I nostri colloqui saranno un eterno grido taciuto? Avremo anche noi il nostro poeta? O diventeremo noi tutti poeti, per apparire almeno degni del delitto perpetrato? Non c’è mai stato atto più grande nel poetato, – e, in virtù di questo atto, chiunque nascerà dopo di noi apparterrà ad una poesia differente da qualsiasi altra poesia accaduta finora!». – A questo punto il filologo tacque e fissò nuovamente gli astanti; anch’essi tacevano e lo guardavano sconcertati. «Vengo troppo presto» disse allora, «non è ancora il mio tempo. Questo evento terribile è ancora in viaggio – non è ancora giunto alle porte dell’Università. E’ come una stella estinta da anni che, per forza di baleno, riluce ancora nel firmamento, il quale brilla ancora per chi alza gli occhi al cielo. Questo atto, per i filologi, è ancora più lontano della più lontana delle stelle – e tuttavia sono stati anche loro stessi a compierlo!» Si narra che il folle, in quello stesso giorno, abbia fatto irruzione nelle diverse sedi della Facoltà di Lettere e nelle biblioteche, gridando contro chi lo cacciava: «Cosa sono ormai questi edifici e queste biblioteche, se non le tombe e i sepolcri della poesia?».

Camus

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