Ho sentito parecchia gente dire: 'Cos'è la poesia in fin dei conti? Niente. Uno scherzo. Un gioco'. Questi maestri del materialismo stupido e beffardo (e direi anche infingardo) credono che la loro tesi sia legittimata dalla cosiddetta verifica storica: la poesia non esiste perché non si vede e, di certo, non influenza la storia. Non tirerò in ballo la consueta arringa heideggeriana sul fatto che sia proprio la poesia a fondare la storia, dirò soltanto, facendo il verso al professor Keating ('L'attimo fuggente'): Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana. E aggiungo: noi leggiamo e scriviamo poesie perché la bellezza ci ditta dentro una parola che non è simpatica o scherzosa, e nemmeno tetra o tragica: è una parola per cui chi parla non può tacere. Nella vita di tutti i giorni quanti discorsi inutili e quante discussioni vane sentiamo! Mai nessuno che dica la parola giusta... La poesia non è un verboso cianciare a sproposito, ma è un mettersi in ascolto di ciò che dice il Lògos. Esso ci chiama, e noi rimaniamo in silenzio. Ciò che udiamo non è una musica inebriante o un fracasso debordante: è la Parola stessa che dichiara la verità sull'essere. Pertanto rispondiamo con Heaney a quei barbari che cercano di distoglierci dalla poesia: sia dato credito alla poesia, e non alle vostre sciocchezze e alle vostre manchevolezze di spirito. Sia dato credito a ciò che bisbiglia, e non alle baraonde sonore. Sia dato credito alla verità per mezzo della bellezza, giacché, sosteneva Keats, 'Beauty is Truth, Truth Beauty'. Perciò rimaniamo in silenzio ed ascoltiamo ciò che la Lingua ha da dirci. Diamo credito alla poesia.
Camus
Dobbiamo far nascere l'Agnello di questa nuova e orrenda Italia, apparentemente priva di orgoglio e amor proprio! Dobbiamo rifarci agli antichi ed eterni savi che innumerevoli volte hanno indicato la giusta via all'umanità nel corso dei secoli. Dobbiamo URLARE e far sentire il nostro disappunto, il nostro assoluto rinnego della promiscuità morale di questi tempi. Se veramente facciamo poesia perché facciamo parte della razza umana, allora che la poesia aiuti la razza umana! L'urlo a cui mi riferisco non dev'essere effimero e selvaggio, ma sussurrato(permettete l'ossimoro), deciso e implacabile. Se davvero la poesia è indissolubilmente legata all'uomo, ne è l'espressione più alta e vera, che serva a noi uomini e donne, a noi italiani per uscire da questa situazione sociale, per distruggerla, ma sopratutto per costruirne una nuova. Diviene davvero solo un "gioco, uno scherzo", se non serve a scuotere l'uomo, se non serve a fargli abbandonare la sua protetta casa per andare ad affrontare il mondo, ad aiutarlo. Se non saremo noi, giovani attivi, riflessivi e aspiranti poeti ad aiutare la nostra società, chi potrà farlo?
RispondiEliminaDean Moriarty
Sono d'accordo con te, caro Dean. 'Chi potrà farlo?': io credo che questo sia il tempo giusto per una donna 'salvifica', o meglio 'dal pensiero salvifico'. Una specie di Beatrice non più tranquilla nell'Empireo, ma pensante e agguerrita contro le barbarie, nell'Inferno di Dante
RispondiEliminaE allora guidaci, Camus! Facci da Beatrice...
RispondiEliminanon penso di avere il giusto sex appeal
RispondiElimina